Educazione Artistica

FRANCO, IL CERCATORE SERIALE DELL’IMPROBABILE

25 dicembre 2021

C’è stato un tempo in cui faceva il restauratore e ci si dedicava con passione. Non contava le ore che ci metteva, anche di notte, quando poteva lavorare indisturbato nel suo laboratorio.
Le richieste erano talmente tante da non riuscire a trovare tutti i pezzi per accontentare i clienti.
Poi quella partecipazione al Mercante in Fiera nel 1995 gli ha fatto capire che il tempo era scaduto. Era giunto il momento di depositare gli attrezzi e cambiare rotta, assecondando una passione che coltivava già da tempo di frequentare di mercatini alla ricerca di oggetti curiosi, perché un entusiasta come lui doveva mantenere quella fiammella sempre accesa.
Questo è Franco Rodolfi che oggi è un cercatore seriale e collezionista di cose improbabili, di cui ti sa raccontare anche la storia. I suoi criteri nella scelta sono la particolarità dei pezzi ma anche la complessità della loro fattura.

Che sia chiaro però che lui non butta via niente, neanche una vite. Così facendo ha stipato un intero capannone da cui svettano pezzi unici, nel vero senso della parola, che l’occhio deve sapere riconoscere fra tanti oggetti più comuni. Transitando dal tratto che unisce Fidenza a Salsomaggiore Terme, non si può non notare macchie di colore appariscenti, sotto la tettoia esterna, come il verde brillante di un piccolo veicolo allestito come da corsa o il blu di un aeroplano con le ali tricolore, a misura di bambino, apposto su un piedistallo.
Basta chiedere e Franco è ben felice di dare spiegazioni mentre traffica fra i suoi oggetti.
“Quella verde è un prototipo autocostruito di auto da pista – spiega – trasformato, in un secondo momento in un fuoristrada. Ha il motore di una Vespa 150 con un cambio Fiat 500 e un totale di 16 marce. L’aeroplano invece è il pezzo di una giostra. L’ho trovato nella cantina quando ho acquistato questo complesso, casa e capannone, che in precedenza è stato affittato ad un giostraio. L’ho fatto restaurare ed ora è parte della mia collezione di cose strane”.


Entrando nel grande spazio del capannone cattura subito, sulla sinistra, la ricostruzione di un angolo bar
con un enorme mobile rétro color crema e rifinito in bordeau, tutto a ripiani colmi di bottiglie d’epoca, che tiene tanta parte di una grande parete. Davanti una sorta di bancone animato da un’avvenente barista bionda, capello lungo, occhi ammalianti, con una linda camicetta bianca. È un manichino che a prima vista fa pensare a una persona in carne ed ossa!

Poco oltre svetta particolare portafrutta da ristorante, tutto in vetro soffiato, con un lungo collo da cui si versava l’acqua che andava a riempire il fondo. Sulla parte incava esterna veniva depositata la frutta,
che aveva le condizioni ottimali per mantenersi fresca.
“Questo me l’ha regalato un cameriere che aveva girato il mondo con il suo lavoro e che a fine anni ’90 lavorava nel ristorante mio e di mio figlio a Fidenza, nei pressi del duomo. Si chiamava al Convento ed era tutto illuminato soltanto con le candele. Ne avevamo messa una anche sopra questo portafrutta”.


Il resto degli oggetti è distribuito su piani di appoggio come quel sedile di un calesse a cui Franco ha fatto fare i piedi per dargli stabilità, oppure su mensole e tavoli ma anche sul pavimento, se i pezzi hanno una certa dimensione. Sono luoghi in cui aggirarsi con attenzione questi, perché l’occhio colga fra le tante cose ciò che gli aggrada e, se è affinato, anche pezzi così particolari da meritare che se ne ascolti la storia.
La giovialità abita qui. Se si fa capolino nel capannone si è i benvenuti.
Due parole, anche tre, Franco le scambia sempre volentieri ed è pronto a far notare la particolarità di quell’oggetto piuttosto che di un altro. Lui che apprezza tanto la cura con cui gli artigiani del passato costruivano ogni singolo pezzo, è contento che ci siano persone che ne riscoprano il valore.

Si capisce quando una persona sta bene nel mondo che si è creato e che intende continuare ad alimentare. Da poco gli hanno consegnato un’irresistibile Betty Boop con i suoi occhioni verdi e un avvolgente abito rosso da sera. Una figura tridimensionale, che risale a fine anni ‘90, di almeno un metro di altezza, capace di attirare l’attenzione su di sé, nonostante la presenza, nei dintorni, di altri pezzi ben più rari. Come i due cavallini di marca Mabo degli anni ‘40, uno che cammina ancora spingendo i pedali e l’altro a dondolo. Perfettamente conservati, arrivano direttamente da un collezionista. E pure quella macchina pedali, una citroen cabrio del 1960 color nocciola, in attesa di qualche ritocco, ma già bellissima!

Lì accanto non passa inosservata una moto filiforme, rispetto ai modelli a cui siamo abituati. È un Corsarino ZZ mai utilizzato. L’aveva realizzato un team di gara per omaggiare un pilota a fine carriera. Questi l’ha sempre tenuto nella propria sala senza mai usarla.
In un punto sopraelevato svettano due ballerini di almeno 80 cm di altezza, in cartapesta, rigorosamente in abito da ballo. I loro volti hanno sembianze animali.


Se si attacca la spina girano a tempo di valzer. Sono stati realizzati in Germania nel 1943 e arrivati fino qui, nelle mani di una restauratrice locale che, sapendo della passione di Franco, glieli ha offerti. Un altro pezzo si è aggiunto alla sua collezione che non ha preferenze di genere, purché si parli di cose per qualche motivo  improbabili, pezzi unici.
Più oltre, su un altro tavolo, c’è una composizione in resina che non passa inosservata. Ritrae una famigliola con il proprio cagnolino su un’auto d’epoca decapottata, mentre transita nella campagna.
Quel ritratto dice di un momento spensierato e lascia immaginare di una giornata diversa dalla routine, per chi è disposto a entrare con il pensiero in quella dinamica.
La cura dei più minuziosi particolari. Ecco di cos’erano capaci gli artigiani di un tempo!

Distribuiti qua e là ci sono anche modellini di auto a cui non si può restare insensibili,
come uno squalo in grigio metallizzato (Citroen Ds) che è sempre più raro trovare nella sua dimensione reale sulle nostre strade. Ebbene Franco ha trovato anche l’originale!


“Ora è in fase di restauro. – racconta – Voglio che sia nelle condizioni di viaggiare ovunque.  È l’auto che mi rappresenta”.
Tanti anni fa, chi approdava all’isola di Pantelleria,  in zona porto si imbatteva in un’insegna sopra una vetrina che recitava così “Santoro Pietro, dalla sardina all’aereo”.
Ecco, Franco l’aereo (della giostra) ce l’ha e al posto della sardina ha lo squalo!
Non riusciamo a immaginare quale sarà la sua prossima trovata ma di una cosa siamo certi: non tarderà a farla saltare fuori. Perché chi è predisposto, o ben disposto, attrae!

Simona Vitali

 

 

 

Storia

IL MONDO IN UN CAPPELLO

9 novembre 2020

“Prova questo, è il berretto da strillone ( o NewsBoy cap) che prende il nome dai ragazzini che vendevano i giornali per la strada per guadagnarsi qualche soldo. In realtà era diffuso fra i lavoratori, gli operai portuali e gli uomini di bassa estrazione sociale tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, in Europa e nel  Nord America.
E guarda questo Roller, di un leggerissimo feltro di lepre e cachemire, morbido, indistruttibile. Si chiama così perché lo puoi arrotolare, chiudere con il suo gancino e metterlo nella tasca della giacca” così Gian Elia racconta ad un coetaneo che sta provando i cappelli della sua collezione autunno/invernale.

Lavorare sulla piazza
Ci fermiamo a osservarlo all’opera, Gian Elia Amoretti, che di mestiere seleziona e fa realizzare cappelli di altissima qualità da veri e propri maestri cappellai, i più bravi  in Italia e all’estero, che vuole conoscere di persona prima di iniziarci a lavorare.
Sembra un prestigiatore, stanne certo che di qualsiasi cappello che prende in mano ha qualcosa da dire, una curiosità, un aneddoto, tale è il bagaglio da cui attinge: c’è la storia, perché i cappelli hanno segnato la storia e c’è un’arte, quella dei maestri cappellai, di sconfinata abilità e pazienza.
E più di tutto c’è una sfida, tutta sua, di portare sulle piazze il meglio dei cappelli che trova, cambiando postazione ogni giorno, secondo il calendario dei mercati settimanali.
La piazza è il terreno di tutti, il luogo dell’improbabile in cui imporre la propria presenza senza che la gente ti venga a cercare, diversamente dal negozio dove si entra appositamente con l’intenzione di acquistare.


Gian Elia Amoretti, figlio d’arte

E’ figlio d’arte Gian Elia, ha alle spalle una famiglia conosciuta e amata nel parmense ma non solo, i suoi genitori hanno gestito per tanti anni un’avviata merceria/abbigliamento  in quel di Sala Baganza e  il nonno paterno Oscar, con l’inseparabile moglie Nera, una cappelleria ambulante, scrivendo un pezzo di storia, quanto a cappelli,  in quasi quarant’anni (dal 1977 al 2014/15). Storia che il nipote non solo sta onorando ma pure alimentando.

Da appassionato vero, con tanto di collezioni storiche che non venderebbe mai e pure alla continua ricerca dei vecchi attrezzi dei cappellai, Gian Elia sta dando un’impronta molto personale alla sua attività –  Amoretti cappelli&accessori – che sta conoscendo certamente la più alta espressione qualitativa di sempre.


Ma per arrivare a questo ha dovuto prima imparare il mestiere. Era ancora ragazzino, aveva 14/15 anni, quando il nonno Oscar gli ha chiesto di affiancarlo nei mercati a Bardi, che d’estate era luogo di turisti, per dargli una mano con l’inglese. Quella campagna estiva gli ha permesso di comprarsi il Ciao, il suo primo motorino, che tanto desiderava ma soprattutto gli ha lasciato un segno, che sarebbe riemerso più oltre negli anni quando si è trovato a decidere del suo futuro. Non erano il chiuso di un ufficio o di un negozio ad attrarlo, bensì lo stare all’aria aperta, cambiando tutti i giorni luogo di lavoro. Certamente c’erano alzatacce da fare e poi il maltempo o il grande caldo da mettere in conto. Un mestiere tosto, probabilmente uno dei più difficili nel mondo del commercio. Ma quell’andare a cercare il contatto con la gente, su cui Oscar e la Nera erano fortissimi, esercitavano su Gian Elia un grande fascino.

Una grande lezione: non parole ma l’esempio
E così è iniziata la sua esperienza nei mercati insieme ai nonni, prima come garzone, per un annetto, per capire se quello poteva essere il suo mestiere e poi come coadiuvante, per otto/nove anni.
“Oscar, un po’ come mio padre – racconta Gian Elia – non spiegava molto. Il suo insegnamento era alzarsi all’alba, salire sul furgone e recarsi nelle piazze dove approcciava con naturalezza i clienti, assecondandone i bisogni. Ho imparato a poco a poco standogli accanto, ascoltando come proponeva i suoi cappelli e cercando di farlo mio. Ho fatto i conti col fatto che chiedessero spesso di lui, la sua figura era talmente radicata nella testa dei clienti che volevano solo lui. Intanto pian piano crescevo, iniziavo ad avere la mia autonomia, incaricato di occuparmi dei clienti  più giovani. Oscar iniziava a poco a poco a defilarsi, a farsi da parte nei momenti più importanti. Ha cominciato col dirmi “Gian c’è da andare a Modena a prendere un po’ di ‘cosine’, senza dirmi cosa esattamente.E pensare che dai tempi della sua  merceria (fine anni ’50) e a volte anche dopo, quando si è dedicato ai cappelli (fine anni ’70),  Oscar ci andava in Lambretta a far riforimento di articoli e spesso prendeva su anche la Nera! Tornavano carichi di pacchi. Quello che non ci stava lo imbarcava sulla corriera e lo ritirava appena tornato a casa.


Ricordo quando, rientrando dopo i primi acquisti in autonomia, col suo fare bonario (non si arrabbiava mai) mi ha detto: “Eh ma non hai preso quello che ci manca! Se tu fossi attento mentre vendi sapresti già quello che devi comprare”. Questa è stata una grande lezione che mi accompagnerà sempre! Per mio nonno il fatto che mancasse la taglia di un cappello per disattenzione era come un insulto, lui che aveva tutto nella testa, non si segnava mai nulla e soprattutto non aveva dimenticanze!”
Da quel momento l’andare a fare acquisiti è diventato per Gian Elia una prassi come pure la possibilità di integrare nuovi articoli nella collezione.  Oscar già trattava l’eccellenza dei cappelli da uomo, tre marchi in particolare – Borsalino, Barbisio e Panizza -, mentre la Nera si limitava più ad articoli per le signore anziane e aveva meno scelta per la clientela giovane. Ecco quindi che il nipote ha iniziato a occuparsi di questo aspetto.

Fare ricerca
Dopo tanta palestra è  arrivato anche il momento, nel 2010, dell’intestazione della licenza con cui Gian Elia ha semplicemente proseguito sulla strada solcata da coadiuvante, inoltrandosi però più spiccatamente sul fronte della ricerca.
Ha iniziato così a portarsi nelle zone storiche di produzione dei cappelli, in Toscana (nel comprensorio Firenze, Pistoia, Lucca) e nelle Marche (Macerata, Ascoli Piceno…) andando a conoscere direttamente gli artigiani cappellai per vedere cos’avevano da proporgli.  In questo modo ha allacciato rapporti con le aziende, andando a chiedere personalizzazioni di stoffe o modelli.
E poi la partecipazione alle Fiere della moda e il contatto con aziende americane e inglesi, tedesche, polacche…


Tutto nell’ottica di avere buon assortimento di ciascuna tipologia di cappelli “se esiste una cuffia – sostiene Gian Elia – io devo avere dieci tipi di cuffie diverse, quella fatta con un certo tipo filo, quella con una certa lavorazione, quell’altra con una sua peculiarità…non mi accontento di averne una sola!”. Per non parlare degli accessori da abbinare ai cappelli: sciarpe, scaldacollo, cravattine di cachemire, mantelle, guanti con cui divertirsi a fare abbinamenti, perché di fatto nella stagione fredda rappresentano il nostro primo biglietto da visita, lo strato più esterno, la facciata attraverso cui comunichiamo noi stessi agli altri. Anche le cinture in pelle da uomo sono un’altra grande passione di Gian Elia. Ne propone una selezione fatta ad arte da sapienti mani artigiane, evidenziandone gli accorgimenti, le peculiarità, i motivi per cui ha scelto di proporla.


L’arte dei cappellai
Entrare nelle pieghe di questo mondo  significa acquisire consapevolezza  che “fare un cappello è veramente un’arte – come spiega Gian Elia – i  passaggi sono infiniti e qui serve ancora la manualità”.
Ci sono storie incredibili, che non si possono nemmeno immaginare, come quella del più bravo produttore di Panama al mondo che a 85 anni di età ha smesso di prendere ordini, considerando che per un cappello impiega un anno di lavoro, e lui teme di non riuscire a fare più in tempo”.

I mercati e lo show-room
Le postazioni del mercato settimanale che Oscar aveva acquisito sono state mantenute tali e quali dal nipote che al lunedì è a Langhirano, al martedì a Fornovo, al mercoledì a Parma, al giovedì a Bardi/Noceto, al venerdì a Collecchio. Da qualche tempo ha guadagnato anche la piazza di Felino al sabato.
Tuttavia  la sua migliore intuizione è stata quella di aderire a due iniziative di spessore quali il Consorzio La qualità dei mercati di Parma e Mercanti di qualità di Piacenza, che lo hanno portato a farsi conoscere e apprezzare oltreconfine, dove ha trovato una clientela predisposta a percepire il valore dei suoi articoli.


Insieme a lui Loredana, la mamma, donna di gusto ed estro, fautrice delle belle esposizioni che gli hanno anche fatto guadagnare premi. Con la sua esperienza rappresenta un bel riferimento per il mondo femminile, che volentieri si fa consigliare da lei.
Gian Elia, che dice di aver raccolto da Oscar solo parte del suo modo di esprimersi, è brillante, pronto alla battuta, sa essere empatico con i suoi clienti: “Il grigio sta bene con tutto, lo dica a me che ho messo su i capelli grigi!” e così strappa il sorriso anche a chi è più abbottonato!


A Sala Baganza la famiglia Amoretti ha allestito un vero e proprio show-room, gestito da Gianfranco, il papà di Gian Elia, dove è possibile trovare anche pezzi più rari come i mezzi cilindri, i colbacchi, i Panama Montecristi, le Lobbie che vengono fatte produrre su misura per il cliente.

È qui che Gian Elia e Loredana indirizzano gli estimatori, o semplicemente chi desidera ritornare, dopo un approccio conoscitivo in un mercato fuori regione. E il bello è che c’è chi arriva appositamente, magari approfittando di fare una visita turistica nella zona o un giorno alle terme. “Qui si divertono. – racconta Gianfranco – L’esposizione non seriosa che segue il gioco dei colori secondo l’estro di mia moglie, invita a provare e riprovare in libertà”.


Ma torniamo alla scelta in purezza di Gian Elia, quella della piazza, dove siamo andati a trovarlo.
Un caldo sole autunnale si riflette sul mercato settimanale di Collecchio, che ogni venerdì è un appuntamento fisso. Si respira un’aria ossigenata e c’è friccichio fra la gente intenta a fare la spesa. Ci sono appuntamenti che suonano come rassicuranti, in mezzo a tanta incertezza. E ci sono banchi, come quello di Amoretti cappelli&accessori, che esprimono semplicemente la cura e la gioia di vivere e promettono di farti stare bene, se solo ti abbandoni alla ricerca del tuo cappello, provando e riprovando i più curiosi modelli finché non trovi il tuo!
Non abbiamo forse bisogno di questo?

Simona Vitali

 

    

 





 

 

 

 

Educazione Civica

CAMBIARE IL VICOLO PER CAMBIARE IL MONDO

2 aprile 2020

C’è una foto che in questi giorni sta facendo il giro del web: ritrae un un cesto in vimini calato con una corda da un balcone di un basso di Santa Chiara (NA). Sul manico un cartoncino con un messaggio: “chi può metta, chi non può prenda”.
Colpisce che in un momento  in cui tutti, nessuno escluso, sentiamo minata la nostra vita e ci danniamo per ricrearci delle condizioni minime di vivibilità e protezione, colpisce appunto che da un quartiere popolare di Napoli, dove di certo non corre l’abbondanza, ci sia qualcuno che riesce comunque a pensare a chi ne ha di meno.
Ma a colpire è anche la modalità, un gesto semplice, arcaico per certi aspetti, capace di essere talmente concreto,  immediato ed efficace da risultare spiazzante.
Un gesto potente per il messaggio e il significato che gravita.

La scelta del silenzio per una strada da ridisegnare
Chi ha pensato questo, che alla rivitalizzazione di quel quartiere sta contribuendo ormai da molti anni, avrebbe potuto ricorrere ad altri strumenti. Perché non organizzare qualcosa che alzasse il morale gli avevano chiesto all’inizio (quando c’erano i primi sentori che qualcosa stava cambiando), per stemperare quell’aria pesante. Avrebbe solo dovuto pescare fra i tanti graditissimi momenti di animazione comunitaria realizzati nell’arco del tempo. “Non è il momento, io per primo non me la sento. Ho bisogno di silenzio in questi giorni. Ancora una volta c’è una strada da ridisegnare” così ha risposto Angelo.
E così si è scollegato. È uscito dalle diverse chat e si è messo a pensare e a scrivere. Sapendo bene che nel quartiere c’erano persone senza fissa dimora conosciute da anni e immaginando anche per loro un inasprimento di condizioni, ha pensato bene insieme a Pina, la sua compagna, di preparare pasti più abbondanti per potere offrirne qualche porzione anche a loro. E sapendo pure di dovere rispettare, per motivi
di sicurezza, le giuste distanze è emersa l’idea del “paniere sospeso”.


I profumi sprigionati nell’aria, vuoi di ragù, pasta e patate a seconda dei giorni…. hanno a poco a poco richiamato i primi avventori, subito guardinghi e timorosi, per poi attrarne altri ancora. Quasi ci fosse un passaparola. E Pina, imperterrita, a cucinare e preparare porzioni, Angelo a calarli dal balcone, in un’alternanza di prendere e lasciare. Sì perché c’è anche chi arriva con la sua sportina lasciando il suo contributo.
E poi quel clic di Riccardo Siano, un reporter di quelli bravi, ha fatto il resto: ha portato questa immagine, simbolo del dono per eccellenza, nelle case degli italiani : da nord a sud. E forse non solo.
Se è vero che ogni azione porta sempre un nome e un cognome, certe azioni dicono anche di più. Parlano di un’elaborazione di un certo stato d’animo. In questo caso di una sofferenza.
Così deve essere successo ad Angelo arrivato a ispirarsi a quella figura tanto provvidenziale per la sua Napoli, Giuseppe Moscati, il medico santo vocato ai poveri. Nel suo studio privato, l’onorario era regolato da un cestino con una scritta: Chi può metta qualcosa, chi ha bisogno prenda. La stessa scritta che Angelo, in giorni non meno terribili, ha preso a prestito per il paniere sospeso.

Angelo ‘O capitano, un uomo libero
Sono in molti, a Napoli certamente ma anche al nord,  a conoscere Angelo Picone, in arte ‘O Capitano per via di quel suo destino di uomo libero (come nel film L’Attimo Fuggente), proprio a partire da quel gesto coraggioso di tanti anni fa quando ha “rovesciato la scrivania”, per assecondare la sua natura di artista di strada, di quelli che l’arte ce l’hanno nel sangue però. Dopo aver investito i soldi della liquidazione nell’acquisto di un camper, Angelo ha intrapreso il suo viaggio insieme ad altri amici artisti.
Sono passati 27 anni ma ‘O Capitano ha un ricordo indelebile di quel periodo “Imparammo a vivere senza corrente elettrica e l’acqua corrente, sviluppando un crescente rispetto per la natura e le sue regole ma anche e soprattutto verso noi stessi. Un cammino profondo, e per questo difficile, dentro le ansie e le paure dell’uomo moderno che, come premio, porta ad una maggiore fiducia nel mondo e più autostima verso se stessi. Ci mettemmo a costruire uno spettacolo con scenografie naturali ed una trama nella quale Pulcinella metteva in crisi, a modo suo, il sistema consumistico e capitalistico. Diventammo dei veri professionisti, con la nostra partita Iva, e iniziammo a lavorare con enti e istituzioni”.

Anni di grandi ideali condivisi, menti fervide che ad un certo punto hanno deciso di “attraccare sulla terraferma” mai dimentichi di ciò che li aveva legati, finché nel 2010 proprio ‘O capitano non scopre, nel centro Antico di Napoli, un caratteristico vicolo adiacente al famoso Monastero di Santa Chiara: Vico Pazzariello. Un destino che sembrava scritto: Pazzariello era un antico artista di strada, imbonitore e giullare, clown…un segnale che lì bisognava prendere casa. E così riuniti gli artisti della prima ora, si decide insieme di fittare un basso e di dar vita a Vico Pazzariello A.R.T.S. (associazione rinascita teatro di strada).


“Cominciammo a pensare che la prima cosa che davvero dovevamo cambiare – ricorda O’Capitano-  era la realtà di quei vicoli di Napoli, ancora sommersi nel degrado , nell’abbandono  e con problematiche sociali forti, ataviche e congenite. Siamo artisti di strada e nostro compito è cambiare il mondo in meglio, a cominciare proprio dalle strade. Anzi dai vicoli. E pure volevamo impegnarci per una sorta di tutela degli artisti di strada”.

D’amore e progetti, grandi una vita
E qui si inserisce un altro personaggio, Pina Andelora, in arte Perzechella (che significa piccola pesca). Sono in tanti a conoscere questa donna, una napoletana verace, per quell’ accogliente e straordinaria cioccolateria artigianale a cui ha dato vita in Vico Pallonetto a Santa Chiara. Un ambiente dove volentieri si rifugiavano dall’ affollata confusione di Spaccanapoli, artisti, scrittori e cultori della Napoletanità, in una sosta che ritemprasse contemporaneamente corpo e spirito,  poi trasformato in associazione culturale: Perzechella…si vuo’ fa ‘e Napule nu Muorzo (se di Napoli vuoi fare un boccone).

L’impegno instancabile di Pina Perzechella per il suo quartiere, per restituirgli dignità e decoro, per renderlo bello ed accogliente, è sempre stato noto.
Con la nascita dell’associazione poi, a maggior ragione, poteva organizzare laboratori didattici e spettacoli su Napoli e la napoletanità, in quel Teatrino di Perzechella che della magica cioccolateria aveva mantenuto tutta l’atmosfera.
Angelo ‘O Capitano non poteva quindi non conoscere questa donna così attiva, e così vicina alla sua sensibilità,  e non poteva non invitarla all’inaugurazione di Vico Pazzariello A.R.T.S..


Così due associazioni,  Vico Pazzariello e Perzechella, si sono riscoperte vicine negli intenti a tal punto che fra Angelo ‘OCapitano e Pina Perzechella è scoccata la scintilla dell’amore. Amore che ha preso la forma di progetto comune, che è andato alimentandosi di giorno in giorno, “strada facendo” come dicono loro, “in quel caleidoscopico intreccio di vite e varia umanità in cui divenivano sempre più punti di riferimento le due associazioni”.

Dentro il vicolo
“Senzatetto. Artisti di strada. Bambini e bambine del quartiere. Commercianti in crisi. Cittadini delusi e residenti arrabbiati che ci chiedevano qualcosa, in un certo senso, confidavano in noi. Ci cercavano. Ci parlavano di bisogni, aspettative. Desideri… – ricorda Angelo ‘O Capitano-  Alla fine il progetto si è delineato. Con le nostre attività associative, facendo cultura, spettacoli e passeggiate teatrali presso il centro storico, impegnando quella verace umanità di cui prima, attirare flussi turistici e creare in tal modo un indotto economico e lavoro, seppur piccolo ed ancora tanto precario.

Perché, nel giro di pochi anni, i giovani potessero aprire botteghe ed attività legate al turismo e fare del nostro quartiere, con l’artigianato, i teatrini, i locali, taverne e ristoranti una sorta di “trastevere” napoletana. Crescere tutti verso un riscatto sociale ed economico tanto desiderato e necessario.”
“Altro che amore di coppia. Altro che il nostro giardino!” commenta Pina con un sorriso sornione, mentre riavvolge il nastro dei ricordi!



Un percorso per gli scugnizzi

Un’attenzione particolare Angelo ‘O Capitano e Pina Perzechella l’hanno sempre riservata agli scugnizzi, i ragazzini di strada, che hanno coinvolto nei loro giochi artistici, arrivando a fare loro scuola gratuita di teatro e musica popolare…sullo sfondo di un disagio, povertà educativa ed economica, genitori problematici o in galera, a cui hanno cercato di fare da contraltare.
“Gli abbiamo insegnato – raccontano – piccole cose ma che hanno una grande funzione, tenendoli lontani dalle devianze a cui purtroppo tanti ragazzi di Napoli sono soggetti. Alcuni di loro, ora sono giovani e hanno corretto le loro tendenze iniziali, scegliendo di fare il pizzaiolo anziché lo scippatore. Altri vogliono approfondire l’esperienza artistica e li aiuteremo a crescere in questo senso. L’obiettivo più ambizioso è fare che attraverso la nostra esperienza possano un giorno lavorare nel settore turistico insieme alle loro famiglie, creando una cooperativa sociale o struttura organizzativa simile che li possa tutelare…”.

Se il coronavirus sbarra i confini
“Ora, però, che il mondo si sta chiudendo su stesso perché colpito dal coronavirus, e sta sbarrando confini, frontiere e costringendo le persone in casa, che piega prenderanno tutti i nostri progetti in questa piccola ma speciale parte di Napoli?”. E’ quanto si chiedono Angelo ‘O Capitano e Pina Perzechella.
E provano anche a darsi risposta da soli:
“ Se non riparte il turismo saremo costretti a chiudere, visto che le nostre attività sociali sono a titolo gratuito e non abbiamo finanziamenti da nessun ente o altra organizzazione. Possiamo sopravvivere solo se riusciamo ad entrare nei cuori di qualche fondazione e altre organizzazioni beneficiarie. Sì perché con il turismo finanziamo tutte le nostre attività e le spese di gestione della nostra sede. Riusciamo anche a viverci noi, artisti ormai veterani. Eppure saremo i primi a scendere in strada, dopo che tutto questo incubo sarà finito. Le strade avranno bisogno di noi, per tornare ad essere gioiose allegre e colorate come solo noi sappiamo esserlo quando vogliamo”.


“E intanto – conclude Angelo ‘O Capitano – ripenso a 27 anni fa quando insieme ad altri giovani partimmo con un furgone per salvare il mondo. Per farlo Migliore cominciammo a rendere migliori noi stessi, facendo ridere e divertire la gente ma portando anche messaggi di lotta e speranza, cercando soluzioni concrete di vita alternativa nel rispetto della natura e della dignità umana. Con gli stessi artisti, fratelli e sorelle di allora, ne stiamo riparlando”.

E per finire…
Un paniere solidale è servito a mettere in luce una dimensione di vita che va ben oltre il paniere stesso.
Conosciamo da qualche tempo Angelo ‘O Capitano e, attraverso di lui, anche Pina Perzechella.
Una sola cosa per noi conta su ogni altra: quei visi puliti, quell’onestà che viene prima di tutto.

Simona Vitali



Photo copertina e finale: Ferdinando Kaiser

 

 

Educazione Artistica

RIPARTIAMO DAL BIANCO

15 marzo 2020

Lei fa così: si focalizza su un oggetto del quotidiano che sta utilizzando o che ha sott’occhio, lo ingloba nella sua fantasia e lo “ripropone” associato a una delle sue Angeline, espressive personaggine con gli occhioni verdi da fiaba, accompagnando ciascuna composizione con un pensiero.

Le ha preso quest’abitudine da quando, 10 anni fa, da un giorno all’altro ha perso il lavoro. Disegnava intimo per un’azienda tessile, quando un fallimento repentino e traumatico  si è materializzato con la fuga del titolare e la cassa integrazione per ben 100 donne, lei compresa.
Così, mentre iniziava una sporadica collaborazione con un’azienda di collant di Faenza, ha raccolto le riviste di moda acquistate, ritagliando via via gli accessori delle collezioni (le scarpe, le collane, i cappelli, le borsette…) e le faceva indossare a una piccola sagoma di donna da lei disegnata, che rappresentava se stessa.


Il disegno era sempre stato la  grande passione di Angela Zini, sin da quando era piccina. Per ore e ore ci si dedicava con quella manina, la sinistra, che la rigidità dell’anziana maestra avrebbe voluto legare mentre i genitori, la mamma insegnante di educazione artistica e il papà ingegnere elettronico e grande mente umanista, hanno assecondato, restituendole quella fiducia che l’avrebbe sostenuta negli anni a venire. Finché non è diventata illustratrice.

Per qualche tempo, dopo quel terremoto nella sua vita lavorativa, Angela ha continuato a disegnare le sue Angeline, che esprimevano la parte più autoironica e positiva della sua persona, per il piacere di dargli vita, rappresentando  quello che le accadeva e affidando loro messaggi che intendeva rivolgere a se stessa.


Splendide, perché assai significative, le Angeline che figurano “L’equilibrista professionista”, ma anche “Staccare le spina” dove il filo di un caricabatterie telefonico è collegato alla testa di Angelina, “La coperta” attraverso cui Angelina realizza la propria vita e aspetta, “Sull’arte culinaria”, che vede  l’Angelina alle prese con le sue ricette…. per citarne alcune.


Questo finché, timidamente, non si è affacciato il pensiero che questa passione potesse diventare il suo nuovo lavoro. Ecco che è ricomparsa, fondamentale, la figura del papà: “con le potenzialità che hai – l’ha esortata- perché non reinventarti in quel modo!”.
“All’inizio mi sentivo in colpa -racconta Angela – mi dicevo che in quel modo probabilmente non avrei portato un gran contributo alla mia famiglia (avevo giè una bimba), d’altro lato però mi incoraggiava il fatto che molte donne si fossero dovute ricreare. Era come se dicessi a me stessa “da un fallimento non mio adesso rinasco io!”. Qui però non si trattava di assecondare la mia vena artistica quando aveva voglia di esprimersi, ma di trovare sistematicamente modalità e canali che mi consentissero di creare una continuità al lavoro a cui stavo cercando di dare forma.

Complice un nido, uno studio di particolare atmosfera che mio padre aveva pensato di ricavare da una  originale struttura, dietro casa, realizzata dal mio nonno materno, ho trovato il mio luogo di lavoro, distinto da casa mia. Quindi ho pensato di diversificare non limitandomi ai disegni ma introducendo oggetti di utilizzo quotidiano – poco costosi – su cui trasporli, quegli stessi disegni realizzati in acrilico su tela o acquerello su carta. Ecco che ho iniziato, con vari esperimenti, a realizzare borse e borsette in pvc fatte stampare da un’azienda veneta e da me assemblate, buste e bustine da viaggio sempre in pvc, ciondoli e orecchini, appendi-collane sagomate in legno, spazzole per i capelli, mug, magneti, biglietti e chi più ne ha più ne metta! Ogni occasione era buona per allungare il menù!”


Da fine osservatrice e pennarello felice quale è, ad Angela basta avere in mano una biro, una matita o un colore che è un attimo immortalare il simbolo del momento e pure costruirci la sua morale!
Mattoncino su mattoncino ha cercato di dare solidità a quel lavoro da libera professionista, a partire dai mercatini , per farsi conoscere, poi introducendo piccoli progetti che delineassero un senso di continuità, come quello del calendario – ogni anno un tema diverso – che realizza in collaborazione con la sorella Francesca, grafica, con cui lavora anche ad altri progetti per aziende clienti.


Ormai c’è attesa, dopo sette anni quei calendari vengono prenotati in anticipo, sono tanti quelli che li stanno collezionando,e pure si circondano degli oggetti di Angela, come un’infermiera sua conoscente che si muove fra le case di Lugo di Romagna e dintorni le ha raccontato “Ti ritrovo in diverse case, Angela!”. Un tuffo al cuore per lei!
Ci sono poi le mostre. Non avendo la fortuna, come in altre città, di avere gruppi di artisti locali che diano vita ad iniziative, Angela ha imparato a organizzarsi da sola, nella ricerca della location più adatta e nella costruzione del suo piccolo evento, in cui dare spazio non solo alle sue opere ma anche a musica e performance artistiche di altri, a tema.


Era tutto pronto per quel momento tanto atteso, lo ha raccontato qualche giorno fa, precisamente il 6 marzo, nel suo profilo Facebook:
“Questa sera avrei dovuto inaugurare la mia mostra a Bagnara. Mi è stato detto che non è niente di che il fatto che sia stata annullata ma sinceramente per me è una vera sconfitta. Ho lavorato tanto in questi mesi in vista di questo evento e da piccola “libera professionista” in questi giorni sto perdendo tanto… ma non mi lamento, siamo tutti e tutte sulla stessa barca! Basta la salute!”
Fin qui purtroppo argomento in comune con tante altre persone che,in questi giorni infausti, hanno visto arrestarsi il proprio lavoro, motivo di sopravvivenza.


Ma è il prosieguo di quella mail ad avermi colpito: “Allora ho deciso di fare una cosa… dato che so solo disegnare, ho preparato alcune immagini che vi regalo volentieri… a tutte voi donne ma anche agli uomini giusto da utilizzare per augurare ed augurarvi “Buona festa della Donna!” Stampatele, postatele, taggatevi… fate quello che volete, sono per voi”. E così in quell’8 marzo inusuale c’è chi ha apprezzato e molto il gesto, facendo proprie quelle gioiose “Angeline” fra le mimose (4 diverse, una per ogni gusto) e utilizzandole per i propri auguri.
“Ad Angela Zini, all’8 marzo, alle piccole o grandi rinunce che ognuno di noi sta facendo”  sempre su Facebook Giorgio Pozzi, l’editore con cui Angela ha collaborato, si esprime così nel reindirizzarle proprio una delle sue Angeline fra la mimosa.
Le piccole e grandi rinunce, quelle a cui ciascuno di noi è dolorosamente chiamato in questo periodo…

E, soltanto cinque giorni dopo, l’11 marzo, con l’inasprirsi repentino della situazione generale in cui ci ha gettato l’incubo del coronavirus,  e lo sconforto, la paura che ha preso il sopravvento in molte, troppe persone, è arrivata anche la decisione di Angela di pubblicare un disegno al giorno (Disegnino in giardino, in cui i personaggi interagiscono con i fiori, compagni di quarantena di chi abbia la fortuna di avere un giardino intorno a casa). Numerato. Finché questo momento buio non sarà passato.


Sì perché lei è un’ illustratrice con una visione positiva della vita, questo sa fare (e anche molto bene), e questo mette a disposizione in un momento in cui possiamo scegliere se chiuderci a riccio o esserci, ciascuno con i propri mezzi, a distrarre e sollevare un pochino anche gli altri.


Nel corso dell’ultimo anno accanto alle Angeline sono comparsi ritratti di donna più realistici, con forti tratti espressivi: sembrano parlare. Angela ha preso a fare ritratti di singoli ma anche di intere famiglie che poi vengono declinati nei tanti oggetti scelti. Le Angeline però, con la loro autoironia, rimangono le personagge preferite dalla gente: più fiabesche, a tratti buffe nel loro essere alle prese con i guai quotidiani.


Ad Angela rubiamo un messaggio di grande significato, tra i più belli del suo profilo Facebook.
L’ha scritto il 31 dicembre 2019, l’ultimo giorno dell’anno, quello in cui si fanno le buone intenzioni e si formulano auguri più impegnati, per se stessi e per gli altri:
“Auguro a tutti di ripartire dal bianco”.
E poi spiega il perché, facendo suo il passaggio di un libro, PERDITE, scritto da suo padre Roberto Zini:
“Nero è il colore delle cose perdute. Bianco è il nostro colore, di noi che non ci siamo arresi. Noi ricominciamo dal bianco. Lo cancelleremo con pennelli e colori, per ritrovare un giorno ciò che abbiamo perduto”…
O scoprire, aggiungiamo noi, che qualcosa di quel che stiamo perdendo in questo periodo lascerà spazio a un modo di vivere nuovo, diverso. Magari migliore.

 

Simona Vitali

 

 

Alimentazione

GENUINO COME I SUOI BISCOTTI

8 marzo 2020

Ci sono predisposizioni, che si manifestano quando siamo bambini, destinate a salvarci da adulti.
Segnali inequivocabili, letti a posteriori, ma irrilevanti o quasi nel corso di quella tenera età, perché considerati spesso solo un gioco.
Capita poi che ci pensi la vita a farle riaffiorare in noi, queste predisposizioni, magari proprio quando ci sta imponendo, senza possibilità di scelta, di cambiare rotta.


Nel destino di Luca Spaggiari sembravano esserci inesorabilmente i motori, vuoi per quella grande passione che dai 14 anni in poi gli prende in modo crescente per le moto da corsa ,vuoi per quell’officina meccanica per camion – la Tanzi Paolo, prima officina Volvo autorizzata d’Italia – che il nonno materno gestiva con tanta capacità e orgoglio, in zona aeroporto a Parma.
Quella che sembrava la strada
Ha 15 anni Luca quando inizia la sua gavetta in officina. Sette anni come aiuto meccanico e a poco a poco, corso dopo corso, esperienza dopo esperienza, arriva a lavorare autonomamente sui mezzi. Un tuffo al cuore per il nonno, che vede in quest’unico maschio della famiglia il futuro della sua officina.
Cresce intanto anche la passione per le moto, dai 18 anni Luca comincia a frequentare l’autodromo di Varano de’ Melegari (PR) per le prove libere, finché tra i 20 e i 23 anni non inizia a gareggiare. Durante la settimana lavora e la domenica va ad allenarsi.


Poi quella vacanza al mare e una scorpacciata di cozze che gli fa guadagnare una noiosa intossicazione alimentare, che gli darà problemi di digestione per parecchio tempo. E’ qui che la vita gli impone di cambiare registro, a partire dall’alimentazione. E intanto che i medici con prove su prove cercano la strada, Luca diventa medico di se stesso. Si indirizza nella scelta di prodotti il più naturali possibile e constata che lo fanno stare meglio. Seguendo questo principio prova lui stesso, che è sempre stato molto goloso, a realizzare qualche torta e poi biscotti, rilevando che non gli danno alcun problema.

Questo lo aiuta a comprendere che la sua è intolleranza agli aromi chimici e lo incoraggia a coltivare quella vena pasticcera che, a ben vedere, ha le radici nella sua infanzia. Aveva una decina d’anni quando preparava il gelato con la gelataia Simac per gli amichetti o si avventurava in esperimenti pasticcioni, come quella volta che ha preparato una pastella che, essendo venuta “molle”, aveva deciso di friggere. Al rientro la mamma aveva trovato la casa invasa dall’odore di fritto e aveva dovuto lavare anche le tende!
A proposito del cambio di registro, anche il lavoro in officina si rivela sempre meno adatto alle necessità sopraggiunte, per cui Luca comincia a cullare un sogno: aprire un laboratorio per realizzare biscotti con prodotti di prima qualità e soprattutto senza aromi artificiali, con gli stessi accorgimenti che riserva alla sua persona.
Quale migliore garanzia per chi ne avrebbe beneficiato? Così inizia a seguire anche corsi specifici.


Incontri fortuiti aprono un’altra strada
L’intenzione è quella di acquistare un pezzo di terra su cui poter costruire e, proprio in una delle sue incursioni all’autodromo di Varano de’ Melegari, arriva l’illuminazione. Quel giorno la batteria della moto aveva bisogno di essere ricaricata, così si è inerpicato per i tornanti che salgono alla piccola frazione di Fosio, finché non ha imboccato uno stradello in discesa che l’ha portato davanti a un cartello “vendesi terreno”, dietro cui si apriva un vero e proprio “terrazzo panoramico” sul fondovalle.
Non è trascorso molto tempo che quel terreno è diventato suo e ha preso forma un progetto di abitazione con laboratorio, il luogo che avrebbe ospitato la sua nuova attività.

Intanto Luca tara personalmente le sue ricette, le tipologie di impasti e le varianti.
Alla base uova fresche locali, burro del caseificio San Martino di Viazzano – PR- , zucchero, vaniglia (non vanillina), sale, scorza di limone (e non aroma chimico), farine dell’azienda agricola Pederzani di Pieve di Cusignano -PR – (macinata a pietra, di grano duro Senatore Cappelli, d’orzo, di mais, integrale…) lievito biologico (composto da cremor tartaro – estratto naturalmente dalle uve dopo la fermentazione -, bicarbonato e amido di mais bio).


E per diversificare i gusti dei biscotti la scelta di una gamma di prodotti veramente di qualità come le nocciole Piemonte IGP, il cacao “Due Vecchi” Venchi, il cocco bio, mandorle di Avola, noci di Riviano (PR) e pure prodotti di stagione come il mosto cotto. Spazio anche alle torte (perlopiù secche) e ai tortelli dolci ma  la produzione si sarebbe basata principalmente sui biscotti.


Un nuovo inizio
Ottenuti tutti i permessi del caso è arrivato anche il momento di iniziare l’attività di Dolceno (in omaggio alla val Ceno), grazie a qualche accordo commerciale, a partire da quello con l’azienda agraria sperimentale Stuard, specializzata nella produzione e sperimentazione agricola biologica e a lotta integrata, che avrebbe ospitato i suoi biscotti all’interno del proprio punto vendita aziendale: il Podere Stuard. Una sorta di elezione, il poter essere annoverati fra i fornitori di una realtà così attenta ai migliori prodotti biologici della provincia di Parma ma non solo. Un punto vendita tra l’altro bellissimo, ricavato da un’antica stalla a volte con mattoni faccia vista.

Podere Stuard

Nel suo laboratorio essenziale, quasi asettico, in un regime di igiene estrema, con la mascherina e i guanti in abbondante anticipo temporale  rispetto alla fase Covid (è il 2014 quando inizia a indossarli), Luca dà vita al suo impegno quotidiano che lo vede da solo a gestire tutti i processi della sua piccola produzione, dal reperimento dei giusti prodotti fino all’impacchettamento.
C’è una ritualità nei suoi gesti, che si ripetono sempre uguali, senza l’ausilio di impastatrici ma con una grande ciotola in acciaio dove inserisce via via gli ingredienti che amalgama con il frustino, per realizzare una frolla o sabbiata o montata.


Piccoli quantitativi, che gli consentano di lavorare bene l’impasto con cui, a seconda dei casi, realizzerà ciambelline con il sac à poche, dischi ricavati da cilindri di pasta e altre  forme ottenute  con mattarello e stampini. Fornata dopo fornata si arricchisce l’assortimento: biscotti al cacao e nocciole, al mais, di grano duro di Senatore Cappelli, con noci,mandorle e nocciole, integrali con noci,  con cioccolato fondente Venchi e Nocciole Piemonte IGP, con mosto cotto, con grano saraceno, con olio extra vergine di oliva(Mediterraneo).
Al pomeriggio Luca procede con l’impacchettamento, non prima di avere ripassato per pochissimi minuti i  biscotti in forno “per togliere l’umidità” come dice lui. Aprendo la confezione poi ci si rende conto di cosa sia la croccantezza.

Le cose buone davvero sono il frutto di un’infinità di minuscole attenzioni. Bisogna sentirlo, il nostro biscottaio, quando si raccomanda di non tenere le confezioni esposte al sole ad esempio, perché è anche come si tratta il prodotto dopo l’acquisto che si può danneggiarne la qualità tanto cercata!

Il lato positivo di un indimenticabile lockdown
Ciascuna delle nostre solobellestorie è frutto di un incontro.
Chi ci ha fatto incontrare Luca? La parte più buia del primo lockdown, quando terrorizzati dall’uscire di casa benedivamo chi prestava il servizio della spesa a domicilio. In quest’occasione, più che mai, facebook si è rivelato uno strumento che ci ha aperto a un’altra fetta di mondo, geograficamente  più vicina a noi, che si andava proponendo in altre vesti, proprio per l’adattamento che i tempi richiedevano.
In questo caso ci è capitata sotto gli occhi un’allettante proposta di comporre un cestino di prodotti, a scelta, della Val Taro e Val Ceno. Alessandro Torri, che già nel suo Torri Family food di Ramiola di Medesano  -PR-  aveva creato una sorta di presidio alimentare locale, durante il lockdown appunto, ha avuto l’idea di portarlo nelle case. Fra gli altri ordini fatti abbiamo inserito anche un pacco di biscotti artigianali al mais e cocco, a dire il vero senza troppe aspettative, perché il biscotto è un prodotto difficile, spesso molto dolce e carico di burro.


Portare alla bocca uno di quei biscotti distrattamente, come pronti a confermare la regola, e trovarsi stupiti: “Ma che buono! Leggero, non burroso, croccante e poco dolce. E con le fragranza della buccia del limone! Ma chi lo fa? Chi c’è dietro questo biscotto?”. E affrettarsi ad afferrare la confezione per saperne di più: “Dolceno, dolci e biscotti artigianali con materie prime di qualità. Luca Spaggiari, cell. 339/7378338”.


Ecco quell’etichetta da maggio scorso ha campeggiato per dieci travagliati mesi sulla nostra bacheca, in attesa che arrivasse il momento per conoscerci di persona con Luca.
Niente artificiosità è ciò che abbiamo rilevato nella preparazione di quei biscotti, che possiamo davvero definire genuini. Come chi li prepara con una cura che non ha eguali!


Simona Vitali

 

Vendita al pubblico 
Podere Stuard
Strada dell’aiuto 7/A
43126 Parma
Responsabile Emporio: Marco Furmenti
Tel. 0521 / 1812735
https://www.facebook.com/PodereStuard.Emporio/

Vendita all’esercente
Luca Spaggiari
lucaspaggio@virgilio.it
cell. 339/7378338

Alimentazione

LA SIGNORA DELLE ZUCCHINE

5 novembre 2019

Per tanti è la signora delle zucchine, per via di quel coloratissimo banco di piccole zucche ornamentali da lei coltivate che allestisce in occasione della fiere autunnali.
Tappa irresistibile, al femminile in particolare, che risolve in modo semplice ma d’effetto il decoro della casa a tema con la stagione.Pezzi unici, è il caso di dirlo, bizzarrie che la natura esprime in una varietà di forme e miscelazione di colori infiniti: è appassionante passarle in rassegna una ad una per scegliere le proprie. E intanto scambiare qualche battuta con lei, Marilena Borella, viso luminoso e rassicurante, in rigorosa tenuta agricola con il suo cappello in paglia e la camicia a scacchi.  Sa trasmettere la valenza di queste piccole opere vegetali, perché ha trascorso una vita ad attribuire valore e anche ad apportarlo.


Nella sua casa natale ha conosciuto e vissuto i cicli dei campi e quelli della stalla con quella “bramosità di conoscere” che ha stupito tutti. “Mio padre rimaneva incantato di fronte a tanta ardente passione” racconta Marilena. È stato quindi naturale indirizzarsi verso gli studi di agraria portati a termine con 60/60, il massimo dei voti, e anche il proseguire con la facoltà di agraria. La necessità di sostituire la mamma nella gestione della casa l’ha costretta, con grande dispiacere, ad abbandonare gli studi.
“Le potature sono quelle che rinforzano” riflette Marilena, non ancora insensibile a questo ricordo che le ha spezzato un sogno. E prosegue “Io penso un di essere un po’ come le piante adattogene, che nei secoli – e anche oggi- hanno sempre avuto la capacità di adattarsi al clima o alle difficoltà. E per via dei cicli e ricicli della vita, che cita prendendo spunto dai processi della natura, ci sono stati altri passaggi stretti nel suo percorso ma ha sempre cercato la sua via di uscita.


In un periodo particolarmente buio ha preso a coltivare zucchine decorative: una sorpresa continua, il vederle spuntare e poi prendere forme e colori diversi anche su una stessa pianta, tale da sortire l’effetto di ridarle energia e positività.
Le ha chiamate “zucchine portafortuna”, ha registrato il marchio accompagnato dalla didascalia “migliorano la vita sprigionando la fantasia con le forme e dando energia coi colori” e ha pensato bene di corredarle di una carta di identità numerata “perché se uno deve viaggiare, ad esempio in aereo, non può portare la zucchina con sé. La carta d’identità invece sì.
Le zucchine, una parentesi di respiro dentro la pienezza del mestiere agricolo che vede Marilena fare la sua parte nella gestione familiare di più poderi, in quanto soggetto con autonomia decisionale. È una che sa il fatto suo, come si dice in questi casi. Le giornate iniziano presto e non finiscono mai. C’è sempre da fare. Ma il tempo per alimentare la “bramosità di conoscere”, quella stessa che la caratterizzava da bambina, quello lo trova sempre.


È arrivata anche la fase dello “spirito del turismo” rimasto acceso in Marilena oltre l’adesione, insieme ad altre imprese al femminile, a un progetto di promozione turistica non convenzionale sul territorio piacentino. Quel podere al naturale di proprietà, denominato Pallavicina, che si sviluppa fra due argini nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle (PC), rappresenta una sorta di oasi con un incredibile microambiente, nel bel mezzo di una pianura padana sfruttata al massimo.
Questo è il luogo del cuore di Marilena, quello su cui ha fatto e si ritrova a fare progetti: certamente l’ultimo degli appezzamenti a cui rinuncerebbe.
Inizialmente proponeva passeggiate per riconoscere le erbe spontanee e commestibili  ma ora ha in mente qualcosa di più. Dato che quel terreno si trova sulla via Francigena, sarebbe bello poter creare un albergo diffuso tra le quattro case lì presenti e ospitare i pellegrini di passaggio. Un progetto grande ma ai sogni non ci è chiesto di porre limiti!

podere di San Rocco di Busseto

“Se riesco a vendere un podere a San Rocco di Busseto (PR) posso dedicarmi con più serenità a questa terra” lo confessa liberamente Marilena rimarcando “È bello sai anche là? C’è una casa che una volta sistemata diventa una favola e tanta terra intorno che può essere sfruttata in molti modi (a uso abitativo, per un agiturismo, un maneggio…). Più di tutto c’è una  pace speciale: se uno non sta tanto bene in posti del genere guarisce!”.
Andiamo a vederlo. Ci accoglie un occhiuto barbagianni un po’ incredulo “cosa ci fate qui?!” sembra dire,  mentre un potente raggio di sole trapassa la piccola cascina – una perla- a lato della casa.

cascina del podere di San Rocco di Busseto

Intanto che attende sviluppi Marilena beneficia e valorizza di ciò che quella terra “preziosa” dell’ oasi Pallavicina  -abbondantemente concimata a suo tempo dal bestiame – produce: una bella varietà di erbe spontanee commestibili.  Prima le vendeva fresche  poi, dato il ciclo breve di vita, si è attivata per conservarle. Ora le fa confezionare con le sue ricette da un laboratorio specializzato.


Pesto di tarassaco con Lemon myrtle, cime di rapa in olio, salsa verde di tarassaco, composta di fiori di robinia, composta di fiori di sambuco sono solo alcune delle tante ricette che solo chi conosce davvero il ciclo che dalla terra arriva al piatto può arrivare a formulare!
Quanto alle zucchine, nel corso degli anni, c’è stata un’evoluzione: se prima venivano coltivate in modo tradizionale nel terreno zappato ora vengono seminate in modo distanziato nel prato, vale a dire che crescono sopra l’erba, sfruttando l’equilibrio naturale che c’è nel terreno. “Evitare la coltura intensiva produce migliori frutti e sfruttare l’erba  come base ovattata consente alle zucchine di rimanere pulite. Una condizione ideale per ottenere ottimi risultati” spiega Marilena, sempre estremamente chiara nel suo interloquire.


“Lo sai che l’impollinazione della zucca è con le api non anemofila cioè ad opera del vento – esclama ad un tratto – Sulla catena ci sono fiori maschi e fiori femmine. Ogni fiore, femmina naturalmente, ha una sua impollinazione e  incrocio e quindi un suo colore. Sulla stessa catena magari le prime due zucche sono uguali poi le altre sono diverse”.

Mentre parliamo attraversiamo l’oasi. Improvvisamente ci taglia la carraia uno scoiattolo e, a ruota, un leprottino! Un tuffo al cuore in quel momento sospeso. “Anche i fagiani si sono riprodotti in buon numero” mi fa notare Marilena e prosegue “vedi là verso la strada quelle due metà di un tronco gigante riverse sul prato?
E’ Mamma Quercia, una pianta secolare che ha sempre vegliato e protetto questa terra. E non è un modo di dire. In passato in particolare si sfruttava la funzione frangivento delle piante che teneva alto il vento, impedendogli di venire a contatto con il terreno e quindi di fare danni.
Ora, io e mio fratello in questo nostro appezzamento abbiamo lasciato che le piante crescessero. Più di tutte una grande protezione ce l’ha sempre garantita la quercia. Così bella e imponente da aver attirato anche degli scalatori ad esercitarsi. Ricordo di un giorno in cui ne ho trovato uno, agronomo forestale potatore, che faceva lezione di salita alla sua ragazza. Ci avrannno impiegato un’ora ad arrivare in alto” racconta Marilena.
Questa quercia generosa nella nostra proprietà ha compiuto il suo ultimo atto nel luglio scorso quando, con la sua possenza, ha fatto fronte ad una tromba d’aria che l’ha spezzata in due, in verticale.
In quei giorni non avevano ancora mietuto il frumento nei campi, posizionati in linea d’aria dietro la quercia. Questi sono rimasti intatti mentre intorno si sono verificati danni a non finire.


Per sicurezza il comune ha preferito abbattere la pianta. Marilena non ha voluto che fosse portata via. Ha sempre sentito la sua energia positiva e sta pensando di farne piccoli rametti che arrivino a quante più persone possibili. Li porterà con sé nei banchetti autunnali.
La stagionalità impone che in questi giorni sia in atto la vendemmia di uva antica, ormai rara: la Bianchetta di Bacedasco, con piccoli chicchi che sembrano di uva da vino ma invece è da tavola. Sa di bouquet di fiori bianchi e pesca bianca. In pochi la coltivano ancora. E questo vale anche per la Verdea.

La raccolta e la pulitura di ogni singolo grappolo è lavoro certosino “quando mi sono sposata e l’ho visto fare a mia suocera mi sono detta che erano tutti matti – ride ancora divertita Marilena -. Devi foderare la cassettina con le foglie alternate ai grappoli in un certo verso e poi togliere i difetti con la forbicina, grappolo per grappolo. Ma anche qui ho finito per farmi coinvolgere!”.


Eccola qui la signora delle zucchine, se mai un simile titolo possa rendere giustizia a questa donna, che dalla “terra che non sa di niente” (sua citazione) tira fuori sostanza e idee a getto continuo.  Dice che questo la solleva, aiutandola ad affrontare meglio il quotidiano. Un quotidiano che – si sa – pesa di più.


Simona Vitali

Marilena Borella
www.fattoriaborellamarilena.blog
marborella@libero.it
cell. 333 4130237

Educazione Artistica

LA LIBERTÀ NELL’ANIMA

3 maggio 2019

A volte sono le fotografie ad essere rivelatrici di belle storie.
Dico la verità, in questo caso la mia illuminazione è partita da qui.
Sono certa che potrei pubblicare soltanto una carrellata di foto perché possiate voi stessi capire.
E invece no, la racconto anche con le parole questa storia di libertà, libertà ovunque e in qualunque condizione ci si trovi.
E lo faccio proprio adesso che abbiamo sperimentato due mesi di privazioni non piccole, che per molti di noi sono sembrati come una galera.


Lo scenario è una casa colonica con persiane in legno verdi, che così bene si sposano con il sasso della struttura, immersa nella campagna di Savignano sul Panaro, con cinque ettari di terreno intorno, un cedro secolare a dare il benvenuto a chi entra dal grande cancello in ferro battuto, tre ippocastani e una quercia gigante in mezzo al campo.

Folgorazione
A rivitalizzare tutto questo una vulcanica e raggiante donna, Giorgia Poggioli, che nel transitare sette anni fa lì davanti è rimasta folgorata da quella casa, in stato di abbandono da tempo, con l’erba alta intorno. In quell’occasione alcuni particolari di grande bellezza, a partire da quel verde bottiglia delle persiane che le dava tanto carattere e i grandi alberi intorno, l’hanno rapita fino a farla fermare.
E’ bastato uno scambio di battute con la signora della casa di fronte per avere il contatto del geometra che aveva in gestione la casa.  E non è trascorso un giorno che Giorgia aveva già la chiave in mano per entrarci.


Una chiave gigante di quelle antiche, che faceva pensare a un castello. Giorgia racconta che varcando la soglia ha sentito subito una bella energia che l’abbracciava in quegli interni ben conservati, con il pavimento originale di cotto un po’ sconnesso, il grande camino che un tempo si usava per cucinare e scaldarsi e anche due altri camini secondari dislocati sempre nel piano inferiore. E che dire di quelle finestre – anche due per stanza – che guardavano alle colline e, più lontano, al monte Cimone, innevato quasi tutto l’anno, ma prim’ancora che si affacciavano sul giardino e i campi intorno seminati a girasole.
Qualche piccolo intervento, una rinfrescata delle stanze e quella è diventata la dimora fissa e non la casa di campagna di Giorgia, a fare da contraltare a quell’immensa vitalità e molteplicità di interessi che le ha sempre fatto mordere la vita a bocconi, senza risparmiarsi tanto nell’impegno lavorativo quanto nel tempo libero.
Quella casa si è connotata come il suo nido, il luogo che, poco per volta, ha reso così simile a se stessa, con locchio rivolto verso il bello, a cui è molto sensibile, e la creatività nel dare valore con poco agli ambienti, rivitalizzando vecchi oggetti o creandone dei nuovi. Piccoli tocchi in grado di caratterizzare ancora di più quell’ambiente originale, giocando con il minimalismo ma soprattutto con i contrasti.

La personalizzazione della grande casa colonica
Così alle inferriate delle finestre del piano terra e, in realtà, in diversi angoli della casa, hanno iniziato a comparire gocce di cristallo dei vecchi lampadari; alle finestre delle camere tende di raso doppio o tulle sovrapposti da copriletto in pizzo bianco, cornici trovate nei mercatini e poi dipinte rigorosamente di bianco, a rivestire la parete d’ingresso, bianco su bianco, che fa da sfondo a uno strepitoso Mondo, il gioco che tutti abbiamo conosciuto da bambini. Disegnato non con i gessetti ma con la vernice sulle mattonelle di cotto!
Chi entra, se vuole, può farci due salti, ricordando così la sua infanzia” così Giorgia spiega questa piccola stravaganza.


Disseminate nella casa si trovano damigiane di vetro bianco con dentro le lucine di Natale, accese tutto l’anno perché sia sempre Natale, il momento più bello dell’anno. Il richiamo alle cose del passato è sempre stato molto forte in lei, che non ha mai perso occasione per visitare  mercatini di cose vecchie alla caccia di setacci che utilizza in tanti modi, oggetti in rame (non quelli da appendere però), catini di zinco, alzatine in ceramica bianca o vetro, portacandele in porcellana


“Dico la verità – spiega – mi sembra di ridare vita a queste cose in un certo senso abbandonate.
A volte le compro proprio per questo motivo. E’ mia abitudine non buttare mai via niente, tutto prima o poi mi può servire. A questo proposito ho una stanza dedicata dove accatasto tutto, la chiamo ‘stanza del casino’. In realtà in molti casi contiene la risposta a ciò che sto cercando!”

Cambiamenti
Nell’arco di un anno, da quando Giorgia ha messo mano alla casa, nella sua vita è arrivato Abdelhak, e poi ha fatto capolino il piccolo Gringoire (Greg), e la quotidianità ha preso un altro sapore e un altro taglio ancora. Giorgia, che nel frattempo aveva lasciato un lavoro che non faceva più per lei, si è reinventata.
“Io non ho paura del cambiamento” lo dice con molta naturalezza e porta anche diversi esempi a questo proposito. Così ha pensato di trasformare la sua grande passione per il buon cibo, che per lei è necessariamente espressione d’amore non fine a sé stesso, in impegno.


In quella dimensione spaziosa in cui stava crescendo il suo piccolo ha trovato modo di dare vita a una nuova avventura, Gioielli di pasta,  uno spazio dove realizzare tortellini, tortelloni di ricotta e mascarpone, passatelli, tagliatelle e, perché no, ancora una volta sbizzarrirsi nello sperimentare anche una sfoglia più creativa, impastata con le erbe (menta, timo, lavanda).


Attraverso un percorso di affinamento non ha tardato a mettere a punto il giusto ripieno per i tortellini (con lombo, buona mortadella, Parmigiano Reggiano grattugiato a mano, prosciutto, sale e niente uova) realizzati a regola d’arte, uno uguale all’altro.
Curioso il suo tavolo di lavoro, rivestito di un vecchio lenzuolo bianco sovrastato da una tovaglia di pizzo, con la grande spianatoia, la macchina per tirare la pasta, nella stanza più luminosa di tutta la casa. Perché anche durante il lavoro ci sia la piacevolezza di certi piccoli curati particolari.

Il piccolo Greg
Greg, quattro anni e due occhi grandi di vivace intelligenza, sta crescendo poliglotta. La mamma racconta che sta conoscendo tre lingue (l’italiano con lei,  il francese con la zia e capisce il papà che gli parla in arabo), frequenta la scuola materna dove ha i suoi amichetti e gli piace proprio fare, quando è possibile, la sua bella colazione al bar dove è diventato la mascotte ma anche andare a pranzo o cena fuori. Ci ha già preso gusto.


Quando torna a casa però si perde nel suo mondo, sollecitato dai mille stimoli che la terra, la natura, gli offrono.
Così non è improbabile trovarlo intento a scavare nel campo per scovare i semi di girasole da seminare nei vasi, rastrellare come un vero ometto il prato dove sta giocando,


aiutare la mamma a riempire la cariola di rametti da portare in casa per accendere il grande fuoco. Inventare giochi con i suoi peluche che dissemina per il giardino,

provare a imitare il gioco della pesca dei cigni, come al Luna Park, con i suoi animaletti di gomma.


Sta imparando i nomi di tutte le piantine e anche di insetti e animali, grazie anche alla app che la mamma ha scaricato. Sa riconoscere la coda cavallina che non è ancora sbucata bene.


Sa distinguere una scutigera da un millepiedi, che sono sì parenti ma non la stessa cosa.


Quando piove gli piace tantissimo ballare nelle pozzanghere.
Poi ha improvvisi slanci di affetto. È  capace di arrivare in casa con un mazzo di fiori di campo per la mamma o di portarle a salutare Pollo, il suo pennuto preferito, tenendolo in spalla come un bambino.


Ordinarie scene di vita quotidiana per loro, un po’ meno ordinarie per gli altri:
“Le mie amiche dicono che abitiamo nella prateria e in generale chi viene a casa nostra ci sta bene, lo vive come un luogo di pace e ogni volta si incuriosisce delle novità che trova. Di fatto non vivo altro che in campagna con terra, animali, e per la mia gioia, sono stimolata a ingegnarmi più che posso” osserva Giorgia.


Greg e le cocche
“In questo momento abbiamo sei cocche, un gallo e un pollo – racconta Giorgia-
I più socievoli sono: Bruna che fa le uova verdi, Olga marroni, Miss bianche, poi c’è Cacao il gallo e Pollo il pollo! Alle altre tre galline, che tendono a stare un po’ sulle loro, non abbiamo dato il nome!”
Ecco, questa combriccola è la vera passione di Greg: la gestisce con una naturalezza e confidenza che va visto. Le fa uscire dal pollaio, da loro un biscottino prima di andare alla scuola materna, ci scorrazza in mezzo, organizza spedizioni con loro al seguito.


Ogni tanto ne afferra una e se la strapazza tutta amorevolmente. Loro sono abituate, anche questo momento di socialità fa parte del loro quotidiano, ormai. Anche perché sperano sempre in un biscottino!
Con Pollo poi fa vere e proprie scorribande. L’altro giorno che era piovuto e i campi erano infangati, correva con lui sotto il braccio… non ti dico in che condizioni è arrivato in casa! – continua Giorgia – E pensare che l’avevamo preso come animale da richiamo per la volpe! In realtà la volpe ogni tanto miete la sua strage, quindi lui non sortisce alcuna funzione, ma almeno si è salvato la pelle!
Ogni domenica andiamo al mercato degli animali di Spilamberto e quasi sempre arriviamo a casa con un nuovo inquilino…vuoi una gallina, un coniglio, una testuggine… Abbiamo provato anche con le anatre ma spariscono, volano via.

Adoriamo tutti gli animali, persino le lumache, e ce ne sono tante: quando muoiono e rimangono i gusci vuoti li raccogliamo e li mettiamo nei vasetti o in ciotole di ceramica o di vetro, disseminati in casa e in giardino. Non possiamo buttarli via anche se non ci sono più. Sono troppo belli i loro gusci”.

La fuga al mare appena possibile, in tutte le stagioni
“Appena ci è possibile cioè molto spesso, – prosegue Giorgia – e questo in tutto l’arco dell’anno, ci regaliamo un giorno al mare. Andiam o a respirare lo iodio e raccogliere quantità di rametti, conchiglie, sassolini che poi a casa utilizziamo per fare collane, tende, o semplicemente per adornare i vasetti di piante grasse, come questa zamponiera sugli scalini all’ingresso della casa. Il richiamo del mare è sempre stato molto forte per me, sarà per quel senso di libertà che ti restituisce anche solo perderti con lo sguardo nell’orizzonte”.

La quarantena
“Da quando anche per noi è iniziata la quarantena – prosegue Giorgia – abbiamo battuto in ritirata, come tutti, nella nostra casa.


Io ho colto questo momento con una grande gioia bambina, una sorta di smania, perché avrei potuto godere il mio piccolo nell’età più bella, che non tornerà più. Abbiamo avuto, e tuttora abbiamo, le mani impastate tutto il giorno di terra, di colla o di pasta!


Ho indirizzato le mie energie diversamente; ho fatto più cose creative, di manualità, con mio figlio. Anche prima le facevo ma non con così tanta attenzione. Ci tengo a precisare che in casa mia, per scelta, non c’è una tv per ammazzare il tempo!
In questo periodo di “fermo” ho capito una cosa importante: che se stai a casa non spendi, tolta la spesa alimentare. Non usi l’auto e quindi niente benzina, ti vesti con quel che hai, non ci dai sotto con consumazioni esterne come colazioni, pranzi o cene. Se vai in giro invece inevitabilmente spendi il triplo”.

Le foto, che passione!
Adora fare foto Giorgia. Non dispone di macchine professionali ma utilizza soltanto un buon i-phone. Lei coglie attimi, anzi sequenze di attimi, in cui il suo Greg compare spesso come protagonista, ma è anche la natura che cambia intorno a lei a ispirarla, o quello scorcio, quell’angolatura della casa mai visti così prima.


E pure i piccolissimi particolari: le uova colorate delle cocche appena raccolte, montagne di tortellini, la pasta tirata a strisce lunghissime illuminata dal sole, la piccola cornice bianca a muro con il ciondolo a cuore, le mini tende a uncinetto da cui la gallina Miss fa capolino, un cavallo a dondolo peloso in mezzo al prato, i picnic sull’erba che alterna a pranzi e cene in punti diversi della casa…i  catering che organizza, a questi si dedica con maestria da anni, preoccupandosi da sola di ogni aspetto.


Predilige i buffet perché sostiene che siano più socializzanti – “se la gente resta in piedi si conosce con più facilità” – dice. Ha molto materiale per allestire i tavoli e anche per caratterizzare gli ambienti. Ma soprattutto il gusto del bello le appartiene.


Sappiamo bene, non si sa in quale percentuale ma comunque bassa, che ogni tanto nascono forze della natura. Eccone una certamente. Il suo segreto? E’ libera dentro, condizione per stare bene in ogni dove, perché a lei il cambiamento non solo non fa paura ma la stimola a esprimersi in tutta la sua esuberante ed esplosiva ecletticità!

Simona Vitali

 

 

Storia

CAPIRE COME GIRA IL MONDO AL MYCINEM@

30 marzo 2019

Una sala cinematografica al centro della cittadina, che raggiungi in due pedalate o a piedi, anche quando fuori nevica. Un lusso che il tam tam dei tempi moderni, più propensi a dislocate e spersonalizzanti multisale, a Fidenza non ha ancora intaccato. Un luogo dell’anima, lo definirebbe Tonino Guerra, che ha battezzato spazi e li ha disseminati di simboli in quella Pennabilli, la sua terra, che ha reso magica, surreale. E così bella da vivere. Avrebbe dovuto conoscerlo, Tonino, il My Cinema di Fidenza, non gli sarebbe sfuggito nulla della miriade di particolari che lo popolano: vecchi proiettori (anche uno ad arco voltaico e carboncini!), bobine (con 1800 mt di pellicola per ognuno dei due tempi di proiezione), obiettivi ottonati in bella mostra, poltroncine vecchio stile nella sala ristoro… tutto disposto con brio, freschezza, a personalizzare un ambiente con una storia di “cinema fidentino” che non è poi così lontana nel tempo.

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Alimentazione, In Evidenza

TRASPORTATI DAL VENTO DELLA VITA

22 luglio 2018

Arrivare alle quattro di mattina in terra di Sicilia e affrettarsi ad aprire i finestrini dell’auto per respirare i profumi inconfondibili di quei luoghi. Lo hanno fatto per tanti anni, ogni volta che scendevano dal nord per le vacanze estive. Nino e Angela, trasportati dal vento della vita a La Spezia ma con il cuore saldo lì, a Pachino – che gli ha dato i natali e li ha visti ritornare per 25 anni – hanno improntato la loro quotidianità al nord mettendo al primo posto la tradizione, le usanze, le feste, i sapori della loro terra. Una sorta di marchio a fuoco impresso nelle abitudini di ogni giorno.


Non era vigilia di Natale se, anche a La Spezia, a casa Campisi non si facevano le impanate, un piatto unico succulento a base di pasta per la pizza ripiena di sugo di salsiccia e carne di suino, broccoli e cipolletta, che si prepara il giorno prima. E con il sugo avanzato all’indomani, per Natale, era la volta della pasta al forno.

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Educazione Civica

UN SENTIMENTO CHE NON SI MISURA A TASSAMETRO

26 maggio 2018

Dicono che il modo più diretto di calarsi in un territorio sia la moto, per la  percezione immediata che ti regala dei profumi e dell’atmosfera di quel contesto.
Per me c’è un altro infallibile modo di entrare in un luogo ed è con il taxi, porta di accesso alle città in cui mi trovo a transitare. Una scelta ben precisa, che continuo a confermare, per la praticità di muovermi senza pensieri ma soprattutto per il piacere di interloquire con chi, nel più o meno breve tratto di strada, dei segreti di quel luogo ne è testimone e custode.


Ho scolpiti nella memoria tanti aneddoti, alcuni esilaranti, tra quelli che ho vissuto e ascoltato raccontare; il colore che mi  accoglie quando scendo al sud;  la gratitudine per aver raccolto, senza margine di errore, buoni consigli, impagabili quando hai poco tempo da spendere e lo devi fare bene o quando vuoi farti un’idea di qualcosa,  dal “per favore si può fermare al volo nella migliore pasticceria lungo questo percorso?” fino  alla richiesta più statistica sulla recente apertura di FICO.

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