Storia

FIGLI DI OGNI LUOGO

28 maggio 2017

Sulla grande spiaggia di sabbia, appoggiato a una piccola palizzata, il ragazzo dai capelli ricci suona la chitarra con tutto il suo fervore. Il vento quasi gli oppone resistenza, ma lui non desiste dall’interpretare un lunghissimo pezzo impegnato, affermando un’abilità che prevarica e mette in secondo piano tutta la sua persona.
Ha scelto di esibirsi ed esporsi nel transito di migliaia di persone, catturando con la sua musica e rendendo quasi invisibile un braccio “diverso”, con cui peraltro esegue le parti più difficili. Quella leggiadria di note che si rincorrono e scavano nell’anima elevano persino da quello splendido luogo.
Lui ha scelto, sfidante, di affermare la sua libertà con la musica, perché la musica libera dentro.

chitarra in camargue

È alta l’affluenza al mare di Saintes Maries de la Mer, in questo speciale giorno che celebra Sara la Nera, protettrice delle etnie romaní, arrivate da giorni da ogni parte d’Europa per prepararsi a questo pellegrinaggio scandito da ritualità.  Fra queste l’accompagnamento della statua di Sara, scortata dai Gardians de Camargue in sella ai loro cavalli bianchi, fino al mare, dove ha luogo un rito di purificazione collettiva con i fedeli che si calano nell’acqua fino alle ginocchia insieme alla statua.

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Ma l’occasione è buona anche per ritrovarsi e fare festa ovunque, in ogni angolo del piccolo bianco centro. Sono i canti gitani accompagnati da uno o più strumenti (alcuni molto particolari) a farla da padroni, coronati spesso da danze improvvisate di ragazze,  e ce ne sono di bellissime, che si alternano fra un pezzo e l’altro.
E sentirsi accolti sotto le loro verande e rapiti da una musica piena di energia  e da un canto graffiante di un anziano del gruppo, circondato da donne giovani e meno giovani sedute attorno a lui, che lo accompagnano con il dondolio della testa, il battito delle mani e un olè! fra un passaggio e l’altro.

musica anto e ballo

C’è espressione nei loro volti (mezzi sorrisi, segni di approvazione): quei canti raccontano le loro storie tramandate oralmente, secondo la cultura romaní. E a un tratto si alza una splendida ragazza mora, tutta di pizzo vestita, che inizia a ballare con grande trasporto a ritmo di musica, accompagnandosi con il battito delle mani.

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E ancora, transitare dalla piccola piazza, intravvedere un crocchio di persone attorno a una panca dove un uomo suona abilmente un flamenco con la chitarra e canta con voce grave , vedere una bimba, che non ha più di quattro anni,  da sola, al centro, ballare con la gestualità tipica e già il ritmo in corpo, con la giovane mamma di fronte a lei che le da piccoli spunti per variare le figure… e poi la osserva orgogliosa e a chi la guarda dice “è mia figlia!”.

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Sono diversi i gruppi che nei giorni di permanenza ritroviamo negli angoli più disparati ma che andiamo anche a cercare nei loro accampamenti,  attratti da questi canti che massaggiano l’anima e che percepiamo essere vissuti, sentiti dentro dai romaní, come se lavorassero in loro. E in effetti scopriamo che la musica riflette lo stato d’animo profondo di questo popolo, con tratti malinconici e inquieti (per quel dover girovagare a fronte di un mondo avverso) e altri pieni di vita, brio (come è nel loro carattere). In ogni caso alla musica viene attribuito un valore liberatorio.

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Questo appuntamento, che ogni anno si ripete puntuale il 24 e 25 maggio, è un autentico richiamo per tutti coloro che hanno fatto della propria vita una scelta diversa: figli di ogni luogo e di nessuno, vivono la condizione di viaggio come moto perpetuo, spostandosi instancabilmente da un punto all’altro.
Sul lungomare, poco distante  dai camper e dalle roulotte svetta una strana bicicletta, appoggiata al parapetto. Colpisce per come è stata elaborata artigianalmente: una cassettina di legno con un tettuccio fissata alla ruota posteriore, un bauletto sempre in legno, con scritti i nomi dei Paesi  visitati, nella parte anteriore e un tettuccio sopra la sella per ripararsi dal sole. Lì accanto un uomo gentile si sta intrattenendo con un gruppetto di persone che gli fanno domande.

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Il suo nome è Dusan, è di origini portoghesi e già dall’accento conquista.  Racconta di come dal 2011 ad oggi abbia percorso ben 30.000 km con la sua bici, l’adorato cagnolino Toby , il piccolo stereo per ascoltare la musica e il bagaglio di storie, aneddoti e barzellette: la sua fonte di sostentamento.
C’è un passato regolare nella vita di Dusan, viveva in Alto Adige, lavorava come addestratore di cani, un lavoro per cui ha dato tanto, poi il salto:  dal 2011 si è messo in viaggio e non si è più fermato.
“Non sempre abbiamo colpa della vita che ci tocca” confida in modo spiazzante. Che portata questa riflessione fatta da quel pulpito!
“Cosa ne pensi della libertà, Dusan?”
“Tutto è relativo, la libertà può avere un molto caro prezzo. A volte con uno sguardo mi insultano”.

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Ha gli occhi che sorridono Dusan, si capisce che lui invece ha fiducia nelle persone…ti ci avvicini per una chiacchiera e ti risponde bonario con la luce nel viso. Evidentemente la libertà fa questo effetto.

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Alzando di poco lo sguardo la Camargue è lì, pronta a darti quel respiro che ti fa sentire vivo e anche libero, se non altro per il tempo in cui ti tiene in seno, con i suoi cavalli bianchi allo stato brado nelle praterie, la quiete delle risaie che richiama fenicotteri rosa, aironi e  molte altre specie di uccelli, le distese lilla delle saline, gli azzurri nitidi del cielo e i tramonti mozzafiato, ad esaltare come in nessun altro luogo ciò che è già bello.

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Ci sono luoghi, più di altri, che suonano come una risposta: sanno accogliere gli spiriti liberi e rincuorarli del fatto che la libertà esiste, ha sì un caro prezzo ma ne vale la pena!

Simona Vitali
simonavitali@solobellestorie.it

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