Educazione Civica

IL BISOGNO DI DISEGNARE CHE ARRIVA ALL’IMPROVVISO

8 maggio 2016

Di cuochi che girano, occasionalmente, con una biro nel taschino se ne vedono tanti. Di cuochi che nel taschino hanno sempre una biro a quattro colori (ve la ricordate?) ne conosco uno solo, lui: Gianni D’Amato.
Della sua carriera nella ristorazione è stato detto e scritto tantissimo. Della sua naturale vena artistica invece si sa, ma la sua modestia in tal senso è proverbiale: “Faccio il cuoco” mi ha ripetuto ancora in questi giorni, mentre rimanevo affascinato dalla sua abilità di coniugare arte, design e funzionalità. Questo si, esercizio che riesce a pochi.
Non è un designer Gianni D’Amato, ma è un punto di riferimento per chi insegue il mestiere di food designer. Il perché è spiegato dai fatti.
L’ultimo, in ordine di tempo, è il tagliere per il Parmigiano Reggiano: “Quando l’ho visto – confida Gianni – sono rimasto folgorato. Era l’idea che cercavo da tempo per presentare il Parmigiano Reggiano, nelle sue diverse versioni che vanno dall’Appennino al Po. E c’erano pure i laghetti in cui versare le gocce di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia”.

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Questo tagliere era stato ideato da una designer americana, Hildred England, nei giorni di Food Innovation di Reggio Emilia; in legno di ciliegio, stampato in 3D, raffigura il territorio reggiano. Ma solo a Gianni D’Amato poteva venire in mente la funzionalità ideale.

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Gianni D’Amato e Hildred England, durante la presentazione presso l’atelier Ars Vivendi di Giuliano Meglioli

Così come per la tri-bacchetta disegnata dal piacentino Gianmaria Sforza, che al loro Caffè Arti & Mestieri agevola la degustazione della straordinariamente buona zuppa di pesce contemporanea. Altrettanto bella quando arriva in tavola, collocata nella cornice di uno dei piatti disegnati da Gianni D’Amato.

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Tri-bacchetta, designer Gianmaria Sforza

E qui ritorniamo alla funzionalità, competenza rara, che il cuoco riesce a coniugare con l’arte.
“Ho pensato dapprima al piatto per i cappelletti reggiani. – racconta – Partendo dalla storia che li voleva serviti in una tazza. Da lì ho disegnato la tazza che vuole diventare piatto. Poi sono seguiti quello per le tagliatelle, per il bollito e la zuppa di pesce, per la zuppa inglese”. Tutti realizzati da un artigiano ceramista che vive e lavora sull’appennino romagnolo.

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Design: Gianni D’Amato e We Strategie Creative. Produzione: famiglia Zauli

Ma che stupisce davvero è la facilità con cui D’Amato gioca con i colori: “Per me il colore è tutto, è gioia di vivere”. Disegna ovunque capiti, su qualunque supporto abbia sottomano – anche un foglio di scottex in cucina – perché non l’ispirazione ma il bisogno arriva all’improvviso. Ecco svelato il taschino con la biro a quattro colori.

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Parmigiano Reggiano futurista, Il panino burro e acciughe, Attenzione al mare, Erbazzone al guinzaglio, Bataclan (nel giorno dell’attentato) sono solo alcuni dei titoli della sua sterminata produzione, nata con la necessità di far capire la composizione di una ricetta.

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“Fin dalla prima ricetta che ho ideato, ho scelto di disegnarla. Perché, in questo modo, riesco a trasmettere il senso della composizione anche a chi lavora con me in cucina” mi spiega. Prima il disegno, poi la ricetta è, da sempre, la sua cifra stilistica.

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Il senso del bello. Questa è la corda che tiene uniti lui, sua moglie Fulvia, il figlio Federico, dando per scontato e visibile il grande affetto che corre tra loro. Federico non è da meno; oggi in cucina, accanto a Gianni, fa uscire piatti che sono tavolozze di poesia estetica.

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Federico e Gianni D’Amato. Ph. Paolo Saccani

Fulvia è il cuore grande; suoi sono i disegni che fanno da sfondo alle carte che accompagnano la piccola pasticceria, sue sono le composizioni che arredano il nuovo locale.

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Sempre lei insegue i nuovi progetti: di valorizzazione della storia gastronomica reggiana come nel caso dell’erbazzone e del cappelletto, a cui sta lavorando (leggi a margine del testo ndr); ma anche e soprattutto di solidarietà, come nell’ultima iniziativa della Grande Cena di Boorea, a Correggio in dicembre, dove sono stati raccolti i fondi per realizzare orti comunitari a favore di oltre 700 bambini della favela di Jandira, a 30 km da San Paolo, dove operano don Giancarlo Pacchin e il reggiano Claudio Melioli.
“Sua è la forza d’animo che ci lega indissolubilmente” mi confida Gianni, mentre lei non c’è durante la nostra bella conversazione. Insieme, tutti e tre, hanno affrontato il terribile momento del terremoto, i viaggi in giro per l’Italia a cucinare nei ristoranti dei tanti amici in attesa della riapertura del loro amato Rigoletto che non potrà avvenire, l’apertura del nuovo locale in centro a Reggio Emilia e il ricominciare daccapo. Insieme, però!

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Fulvia, Gianni e Federico D’Amato

E questa è la forza che ti fa affrontare ogni cosa.
“Quante beltà!… Mirate”, il canto del cortigiano Matteo Borsa al Duca di Mantova, in apertura dell’opera verdiana, che ha ispirato il nome scelto da Gianni e Fulvia per quello che fu il loro luogo dell’anima a Reggiolo, li accompagnerà sempre. Perché il vero luogo dell’anima se lo portano appresso.

Luigi Franchi
luigifranchi@solobellestorie.it

p.s. – per capirne di più, andateci al Caffè Arti & Mestieri, in Via Emilia San Pietro a Reggio Emilia, anche solo per godere del piacere del giardino in un giorno di primavera.

MEDITARE ..CON LE MANI IN PASTA

DECALOGO DEI CAPPELLETTI

DECALOGO DEI CAPPELLETTI

La definizione è forse un azzardo ma fare i cappelletti ha un elevato potere rilassante e meditativo, ed è fonte di profondo benessere psichico. Le mani parlano e dialogano con il cervello, esprimono e realizzano quello che noi vogliamo, talvolta in modo ripetitivo, costante.
Le mani sono quello che noi pensiamo e trasmettono il nostro stato d’animo.
Il ripetere movimenti precisi e sempre uguali il sottofondo di chiaccherio, la precisione lenta e continua, la disposizione metodica dei cappelletti come soldatini in fila uno per uno, hanno un effetto mantra, che può addirittura allentare le tensioni e rigenerarci, aumentando la nostra autostima, gratificandoci, e aumentando anche la socializzazione.
Insomma, fare i cappelletti è un rimedio efficace contro la stanchezza, e la noia, è una meditazione attiva che ci fa stare bene con noi stessi.
Sono sempre più convinta che alle rezdore ed ai cuochi, spetta il dovere di insegnare questo lavoro artigianale, e “manifatturiero”.

Fulvia Salvarani

 

 

 

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