Avere un telecomando fra le mani e poter alzar in volo il modellino di un aeroplano. Chi di noi non è cresciuto provando l’ebbrezza di orientare su nel cielo la direzione di un piccolo velivolo giocattolo, creando rotte e contro-rotte nello spazio libero che gravita sopra la propria testa, fino a dove arriva lo sguardo?
E quando il giocattolo fa uno scatto avanti e diventa esso stesso occhio che dall’alto registra ciò che vede in basso, è lì che il “gioco” diventa cosa seria, strumento per girare una diretta sulla terra, dal cielo, come a immedesimarsi in un’ampia planata di un gabbiano.
È la riflessione che emerge con Fabio Abatantuono, che di lavoro racconta, e lo fa non con la penna ma per immagini: “credo di saper raccontare di più con le immagini, che non con lo scritto, una sceneggiatura”, in sostanza è, come si dice, innanzitutto un direttore della fotografia (ma anche produttore).
Siamo in una splendida vallata e lo osservo alle prese con un drone di dimensioni importanti ( ben 3 kg) che sta riprendendo immagini mozzafiato, riportate sul display del telecomando.
“Perché il drone è un’arma a tutti gli effetti ” esclama Fabio “cadendo inavvertitamente può danneggiare mezzi o peggio ancora ferire persone”. Per poterlo utilizzare a livello professionale, stabilisce l’ENAC, è obbligatorio prendere una patente, assicurare il mezzo, aggiornarsi, fare visite mediche. Il drone ci è dato di guidarlo anche in due (uno lo fa avanzare, quindi si occupa del movimento, e l’altro fa ruotare le camere che ha sotto la pancia). La condizione è sempre quella di volare solo a vista.
Vale la pena però affrontare tutti questi passaggi: “mi piace utilizzare le riprese aeree, rappresentano come una sorta di prolungamento di quello che si può fare con gli strumenti a terra, dando quindi la possibilità di vedere le cose in modo diverso rispetto a come già le vedi e realizzare quindi immagini originali.
La cosa straordinaria è che, anche in ambito professionale questa tecnologia, con un certo tipo di inquadratura, non era accessibile a tutti: ne disponevano solo le grandi produzioni cinematografiche. Ci è stata quindi data la possibilità fantastica di avvicinarci al mondo dei grandi. E se non manca una buona dose di creatività, ne possono uscire prodotti molto interessanti”.
“E’ la luce che vado a cercare, è quella che da colore alle cose ogni volta che devo fare delle riprese. Quando mi confronto con un regista devo disegnare quello che lui ha in mente, per esaltare al massimo la scena”.
E’ coinvolgente parlare con Fabio, anche per chi non ha dimestichezza con questo mondo e le sue tecnologie: sa rendere comprensibili passaggi che semplici non li sono.
Mi affascina di lui lo scoprire, chiacchierando, quante esperienze abbia incastonato nei suoi 34 anni, ma soprattutto quel modo di approcciare alle cose con interesse che è un gradino oltre la curiosità.
“Che non sia anche il bombardamento di informazioni che passano attraverso i social a portarci ad essere più leggeri?” gli chiediamo.
“Il tempo è sempre quello e le informazioni sono troppe. Se uno è curioso legge milioni di titoli, se è interessato si ferma e legge. La guerra che stanno facendo tutti è quella di fare interessare. Lo stesso You Tube sta cercando di togliere il salta annuncio della pubblicità”.
Anche l’approccio che Fabio ha avuto e continua ad avere con la musica rende bene l’idea del suo modo di essere: dai 14 ai 20 anni si appassiona alla musica hip hop, poi con l’inizio dell’università comincia a suonare la chitarra e si dedica al blues. Sempre durante gli studi approda al Teatro Regio di Parma, dove lavora come figurante e scopre la musica classica.
“Alla prima opera che ho ascoltato –racconta – mi sono detto che quello era il massimo che esisteva” . Oggi che la musica è un elemento fondamentale nella realizzazione dei suoi video, continua la sua esplorazione che sonda tutti i fronti, anche ciò che non gli piace. “Capita che la mia compagna a volte mi chieda, perplessa, cosa stia ascoltando. Di fatto non è poi che si possa utilizzare qualsiasi tipo di musica in un video, ma questo mi serve per allargare il più possibile il mio bagaglio di conoscenze e darmi ispirazione”.
È divertente ripercorrere insieme a lui ciò che ha dato il là al suo percorso.
“Ero studente universitario in quel periodo, mi trovavo in Pilotta a Parma insieme ad alcuni amici e li stavo intrattenendo col recitare qualche scena di un film che conoscevo a memoria (non ci ha svelato quale! ndr), ad un tratto, non molto distante da noi, capto che un ragazzo sta facendo la stessa cosa con un gruppetto di suoi amici. Mi sono avvicinato, ho voluto conoscerlo: Francesco, il suo nome, stava frequentando un master di cinematografia a Parma. Da quel giorno siamo diventati a amici finché non mi ha proposto di coinvolgermi in un corto che sarebbe stato girato a Ischia e io, avventuroso, sono andato. Mi hanno impiegato un po’ come attore co-protagonista e un po’ come assistente alla regia”.
Terminata l’esperienza Fabio torna a Parma, nel frattempo il suo amico, entrato in una produzione cinematografica, lo informa che stanno cercando uno stagista: è lì che, per racimolare i soldi per viver a Roma un paio di mesi, inizia preventivamente a lavorare al Teatro Regio di Parma come figurante.
“Si era creato un bel clima – ricorda Fabio – le sarte mi volevano bene”. Arriva poi la chiamata da Roma e Fabio parte di nuovo, ancora alla cieca, spinto dalla volontà di continuare a sondare quel mondo.
“Inizialmente mi hanno affidato mansioni di segreteria, ma piano piano mi hanno sempre più coinvolto fino a darmi l’amministrazione dell’ufficio e inserirmi nell’organizzazione generale del format di una trasmissione televisiva. Ricordo che non contavo le ore di lavoro e in nessun modo volevo perdermi le riunioni serali col regista, che erano le più belle. In quel periodo ho rinunciato anche alle mie serate di svago, non volevo disperdere energie”.
E continua: “Una sera che mi sono addormentato sull’autobus. Giunto al capolinea l’autista mi ha svegliato. Pioveva a dirotto, gli ho chiesto di farmi scendere. Impietosito si è offerto di accompagnarmi a casa e lo ha fatto sul serio. Ha messo fuori il cartello ‘fuori servizio’ e mi ha portato fin sotto casa!”
Ogni tanto chiamava in ufficio l’università (che mi aveva abbuonato lo stage) e chiedeva ‘come sta andando Fabio Abatantuono? E io che rispondevo dicevo ‘benissimo, siamo molto contenti di lui’. I miei colleghi si divertivano molto ad ascoltarmi!”.
Rientra a Parma torna al Teatro Regio, acquista una telecamera e trova nel teatro il luogo ideale per fare esercizio, trova lavoro in un piccolo teatro come tecnico luci (che approfondisce con un corso a Siena) .Qui conosce un’altra figura che si rivelerà strategica nella sua scelta di indirizzo: un videomaker molto evoluto che gli riapre lo sguardo sul mondo dei video. L’idea di una persona che realizza un prodotto finito da solo lo affascina e inizia a collaborare con lui. Segue poi l’esperienza televisiva in tema di calcio prima con Teleducato, poi con Tv Parma fino ad arrivare a Mediaset con la Tribù del calcio.
Nel frattempo Fabio ha acquisito la sua autonomia di libero professionista, libero appunto di seguire altri lavori fino a rendersi conto che quel mestiere cominciava a conoscerlo bene e anche a capire cosa volevano i suoi interlocutori da lui, con molta naturalezza.
Poi l’ulteriore scatto, la necessità di avere una squadra di professionisti altri nel settore della comunicazione, da coinvolgere all’occorrenza per collaborare assieme. Oggi, pur mantenendo la sua natura, ha la sua base presso Un_Type, una ex tipografia di sapore, in un borghetto accanto al Duomo di Parma, intrisa di tante idee quante sono le teste che la abitano, in sintonia di pensiero fra loro.
“Mi rendo conto che tutto, tutto quello che ho fatto mi è servito in qualche modo” ci confida Fabio al termine della lunga chiacchierata.
La regola è sempre una: è la gavetta, data anche da esperienze diversificate, che dà solidità a qualsiasi professione intendiamo costruire.
Oggi che con facilità si può raggiungere tutto o quasi, si pensa con presunzione che il dilettantismo possa sostituire la professionalità vera, quella guadagnata sul campo. Ci sta tutto, certamente, ma con le dovute distinzioni.
Simona Vitali
simonavitali@solobellestorie.it