Educazione Civica

BEBÈ, LA BARONESSA RIBELLE

21 agosto 2017

Lei alle regole che imponeva il suo status aristocratico non ha mai voluto sottostare. E questo fin da bambina: “non potevo sedermi a tavola prima della nonna, non potevo interloquire con i grandi, m’infastidiva l’aver dietro di me un cameriere per versarmi l’acqua e non accettavo di dover fare l’inchino…”, ricorda Bebè Cherubini che in una famiglia aristocratica ci è nata e cresciuta, in quel di Rossano Calabro, senza averlo potuto scegliere.
Se la madre era legata all’etichetta, il padre e il nonno erano più morbidi e quest’ultimo di fronte a una nipote fuori dalle righe era solito dire “lasciatela stare perché lei va per conto suo”.
D’estate la famiglia si trasferiva nel seicentesco casino di campagna in contrada Amica; qui il passatempo preferito era sfuggire ai controlli e raggiungere i figli dei contadini per giocare con loro, anziché intrattenersi con le amichette a pettinare le bambole.
Intorno ai vent’anni Bebè si trasferisce a Roma, in fuga dalle condizioni di casa sua, si sposa e proprio durante il viaggio di nozze, nel 1962, arriva una folgorazione che l’accompagnerà per diversi anni a venire. Nel transitare dalla campagna francese un guasto alla macchina costringe lei e il marito a fermarsi. Una signora che abita accanto all’officina li accoglie in casa propria. Quell’ospitalità squisita, la condivisione di casa, cibo e parole entusiasmano Bebè che in cuor suo inizia a pensare quanto sarebbe bello creare nel casino di famiglia una sorta di ospitalità rurale (forma primordiale di agriturismo).


Al ritorno ne parla col padre ma lui lapidario “ti sei sposata”, come a dire che non è più possibile. Bebè accantona al momento quel pensiero e affronta la sua vita romana sempre con quel fare libero. Abita in una zona prestigiosa ma raccoglie cicoria, tutti all’Olgiata hanno un cavallo invece lei si compra un asino, per il legame che aveva con questo animale nell’infanzia calabrese, e questo non manca di creare scalpore nell’ambiente della Roma bene. Arriva il ’68, il periodo della contestazione che Bebè vive con una sua autonomia di pensiero, dissociandosi dalla pratica delle femministe di  di bruciare i reggiseni in piazza perché considerati un simbolo di costrizione, un’antitesi di libertà.
“Non ho mai condiviso questa idea. – ricorda – La donna non aveva bisogno di affermare la propria libertà bruciando reggiseni. Cosa c’entrava la fisicità rispetto alla necessità che l’uomo capisse che ragioniamo come lui, che abbiamo un cervello come lui?!”.
E poi arriva la maternità,  ben quattro figli, che crescerà concedendo loro quello stesso respiro che il nonno aveva caldeggiato per lei e nasce l’idea, insieme ad alcune amiche, di aprire una scuola- materna, elementare e media-di indirizzo steineriano dove si occuperà della mensa e della produzione di quante più materie prime possibili.
Con la morte prematura del fratello scatta in Bebè la decisione di mettere immediatamente in vendita quella tenuta di famiglia in contrada Amica a cui aveva pensato tante volte nel corso di quegli anni.

Trovato un compratore scende a Rossano per regolarizzare la vendita ma, racconta: “gli agrumi fioriti, le rose sbocciate, di colpo mi hanno fatto tornare bambina e mi sono chiesta chi sono io per buttare all’aria 400 anni di storia della mia famiglia. A quel punto ho chiamato a Roma per comunicare al mio ex marito che non solo non avevo venduto ma pure mi fermavo qui!”
E così riemerge prepotente il pensiero di recuperare l’antico casale riportandolo a com’era, per il profondo rispetto per la memoria che Bebè ha sempre nutrito.
“Ho consultato due architetti ma ben presto li ho liquidati entrambi. Loro avrebbero stravolto questo luogo. Mi sono fatta guidare molto dalla memoria e dal rispetto per gli anziani, chiedendomi come mio nonno sarebbe intervenuto. Utilizzando materiali esclusivamente locali ho così recuperato il frantoio, adibito a sala ristorante. Ho interpellato autentiche memorie viventi come la minuscola vecchina, sarà stata alta un metro e venti, che ha gestito per tanti anni e ha continuato a gestire lo spaccio dei vini in uno spazio all’ingresso della struttura. E cucinava anche piatti molto locali e pure salati, perché gli avventori  bevessero molto vino. Le sue ricette e quelle delle donne della Rossano vecchia sono diventate le ricette che propongo utilizzando ciò che produco”.

Poco a poco Bebè ha iniziato a recuperare le vecchie case dei contadini, divenute camere per gli ospiti della struttura. Nel contempo ha dato vita ad una serie di iniziative gastronomiche dedicate al vino, al maiale, all’agnello, oltre ad ospitare eventi culturali. Inoltre ha iniziato a organizzare corsi di cucina locale, di tessitura a telaio secondo l’antico metodo ionico, di raccolta di erbe medicinali e aromatiche.
È tornata la vita, esattamente senza fronzoli come un tempo,  in questa dimensione come ovattata, battezzata da Bebè Giardino di Iti (dal latino andare, perché quella è stata nel corso dei secoli anche una posta per i cavalli), a cui si accede attraverso un grande portale che conduce a una corte in stile spagnolo, con un ampio prato interno coltivato ad agrumi dove affacciano le camere. Nuova linfa è stata data anche  ai 16 ettari di terreno in cui è immersa la struttura che ospita anche Orazio, l’asino che, su espressa richiesta di Bebè, gli amici le hanno regalato per i suoi 60 anni, diventato subito la mascotte del Giardino di Iti.


“Già al mio arrivo – racconta Bebè – ho iniziato a parlare di biologico e mi prendevano per pazza. Mi dicevano che gli agrumi nel bio non si potevano fare perché sarebbero stati attaccati dai parassiti. Fortunatamente ho avuto accanto amici che credevano in uno sviluppo diverso dell’agricoltura e in particolare un agronomo che mi ha indicato la strada. A partire dall’agrumeto che mio fratello aveva impiantato e io ho trasformato in biologico. Una scelta che ho trasferito anche nella struttura, stanza dopo stanza, recuperando i materiali naturali del posto.”


I figli di Bebè hanno compreso il bene della madre: “tu sei venuta qui perché sei di questo posto” le dicono. E lei conferma l’amore per questa terra, che la mantiene ancorata lì e per cui continua a spendersi e pure l’ha vista a un certo punto a schierarsi pesantemente con vere e proprie barricate – supportata da persone motivate quanto lei – contro l’attivazione di una discarica a poca distanza, lei che quel territorio l’ha approcciato con grande rispetto.

Oggi Rossano è assurta alla popolarità grazie al Codex purpureus, uno dei quattro evangelari più antichi al mondo e, fra questi, il più completo e l’unico rilegato, inserito nel Memory of the world – Patrimonio dell’Umanità UNESCO: “Arrivano molti turisti per vederlo e per fortuna che è stato salvato questo patrimonio che, fino a pochi anni fa, giaceva incustodito in chiesa. Noi lo sfogliavamo da bambini, inconsapevoli del suo valore come del resto tutti gli abitanti di Rossano” commenta Bebè, dilungandosi piacevolmente sui ricordi dell’infanzia.

È successo di recente che due viandanti, accaldati e affamati, transitando nel primo pomeriggio da contrada Amica si siano fermati al giardino di Iti. Una signora garbata li ha accolti, prolungando i tempi di apertura della cucina e preoccupandosi di servire personalmente ogni singola pietanza, nella grande sala da pranzo che un tempo era stata frantoio.
“Tutto quello che mangiate lo produciamo noi” si è limitata a dire, cortese ed essenziale. Quei modi signorili lasciavano intendere che ci sarebbe stato molto da scoprire della sua persona. E così è stato. Bebè, la baronessa (“della quale cosa non ne ho colpa” è solita dire) ribelle ci ha trascinato dentro il suo romanzo, perché questo è il taglio che con coraggio ha dato alla propria vita, volendo tutto, tutto ciò che ha costruito e anche ciò che ancora deve realizzare!

Simona Vitali
simonavitali@solobellestorie.it

Il Giardino di Iti
Contrada Amica
Rossano (CS)
Tel. 360 237271
www.giardinoiti.it

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